Da otto secoli, il presepe di Greccio attira decine di migliaia di visitatori. A raccontarcene l’atmosfera è padre Stefano Sarro, da tre mesi al Santuario. L’esempio di san Francesco e il rischio che non solo il presepe, ma anche Dio, venga messo alla porta nelle case degli italiani. Per recuperare la “cultura” del presepe, dobbiamo imparare dai bambini.
La notte di Natale del 1223, Francesco d’Assisi per la prima volta rappresentò con un presepe vivente la Natività. Da otto secoli quel luogo, immerso nella Valle Santa del reatino, è mèta incessante di decine di migliaia di pellegrini all’anno, da ogni parte del mondo. Abbiamo chiesto a padre Stefano Sarro, del Santuario di Greccio, una riflessione sul significato del presepe, simbolo del Natale per eccellenza.
Padre Stefano, lei è a Greccio da appena tre mesi. Com’è l’atmosfera al Santuario, intorno al presepe?
È vero, mi sono trasferito qui da tre mesi, ma per noi frati della provincia del Lazio-Abruzzo, Greccio è un luogo dove si va spesso e volentieri: la Valle Santa è il cuore pulsante della provincia. Direi che noi frati viviamo qui una dimensione duplice, perché se è vero che cerchiamo di aprire agli altri, a chi viene a visitarlo, lo spazio meraviglioso del luogo dove è stato allestito il primo presepe, dove lo stupore di san Francesco per l’incarnazione e la Natività ha preso corpo, è diventato visibile per la prima volta, è anche vero che tutto ciò implica per noi frati la disponibilità a metterci davanti a questo mistero per lasciarci affascinare ed evangelizzare da ciò che il Signore ha fatto per noi.
L’esempio di san Francesco è molto eloquente, entra in profondità negli animi di tutti noi: guardando il presepe, ci si accorge che il cuore amante di Francesco ci interpella continuamente, e così anche la sua vita modellata sul mistero dell’incarnazione e della passione di Gesù. In Francesco d’Assisi, da una parte ci sono la povertà e la semplicità, all’altra la carità e l’amore fraterno. Il presepe di Greccio è l’esplicitazione di tutto questo.
Cosa dite alle decine di migliaia di persone che ogni anno visitano il vostro Santuario?
Cerchiamo di trasmettere il cuore più profondo del presepe. A volte chi viene qui è attratto da qualcosa di vago. Il posto è certamente bello e suggestivo, ma il rischio è di fermarsi soltanto ad un livello superficiale. Noi cerchiamo di far entrare più in profondità nel mistero del Natale, fino a far comprendere il nesso tra incarnazione ed Eucaristia, che per Francesco è essenziale. È stato lui stesso a sperimentarlo nella sua vita contemplativa, anche se non è stato il primo nella storia della Chiesa ad averlo messo in evidenza.
Niente di folkloristico, quindi?
No, nessun folklore, anche se poi la bellezza, non solo della nostra valle, viene valorizzata. Qui al Santuario è allestita, infatti, una mostra di presepi permanente che fa sperimentare come in tutti i paesi del mondo si sia cercato di voler vedere con occhi di carne i patimenti che il Signore sperimentò quando venne qui sulla terra. San Tommaso da Celano, ad esempio, riflettendo sul presepe mette in evidenza proprio la carnalità dei disagi che un neonato, venuto al mondo in una mangiatoia, ha provato sulla sua pelle.
Il desiderio di San Francesco era, del resto, proprio quello di quasi toccare ciò che di per sé non sarebbe toccabile: il Natale a Greccio e il desiderio della passione alla Verna.
Natale si avvicina e nelle nostre case, spesso, l’albero di Natale “batte” il presepe. È una tradizione che stiamo perdendo?
Greccio non è il luogo adatto per rispondere a questa domanda. È un luogo privilegiato, qui viene tutta la gente che ama la tradizione del presepe e se ne sente attratta. Nei miei incarichi precedenti, svolgendo il mio servizio nella pastorale giovanile e universitaria, ho avuto modo di entrare nelle case. Posso dire che
non è soltanto il presepe, è proprio Dio che viene messo alla porta, a volte involontariamente ma da molti esplicitamente. Il martellare dei media, i film, la pubblicità e uno stile di vita che si è fatto pagano hanno tolto Dio dal primo posto e, quando va bene, l’hanno messo all’ultimo.
La gente preferisce un albero perché non dà fastidio: un bambino indifeso che esprime la tenerezza di Dio, come dice spesso Papa Francesco, invece dà fastidio a molti, anche oggi come duemila anni fa. Quel Bambino è ancora un segno di contraddizione.
C’è un deficit di “cultura”, sul presepe e ciò che rappresenta, anche nel mondo cattolico?
Non è soltanto il presepe: si ha paura a dire la parola “Gesù” così tonda, quasi disturbasse, invece di essere riferita a colui che è venuto a portare vita, e a portarla in abbondanza. A mio avviso c’è un fraintendimento tra il rispetto, giusto e dovuto, per chi la pensa diversamente da noi o aderisce ad un’altra religione, e un comandamento del Signore che riguarda l’amore stesso di Dio. Un fraintendimento, cioè, tra il rispetto per la fede altrui e la gioia e il dovere di amore del cristiano. Se una persona sa che Dio è la salvezza, lo comunica, non se la tiene per sé. La Chiesa per sua natura è missionaria, come ci ricorda oggi il Papa sulla scia dei suoi predecessori. Il mondo cattolico, spesso, si intimidisce: per questo va riscoperto il binomio del rispetto altrui e della gioia dell’annuncio che Gesù è nato per noi, un annuncio che dà la vita.
Come reagiscono i bambini di fronte al presepe? Abbiamo forse qualcosa da imparare da loro?
Qui vengono intere scolaresche di bambini e si accostano naturalmente al presepe. Il problema, forse, siamo noi adulti. Quando parlo con i piccoli, spiego loro come Dio, che ha creato il cielo e la terra ma è più grande del cielo e della terra, per venire a trovarci si sia voluto fare piccolo come un bambino. Sta qui la fonte della meraviglia, che noi adulti abbiamo perduto: Dio ha voluto farsi bambino per incontrare l’uomo, per dargli una vita bella, ma soprattutto per offrirgli il Paradiso. Dio si è fatto bambino, piccolo, per poter stare accanto a te ed incontrarti: questo significa che Dio non è lontano.
Fonte agensir.it