La “speranza concreta” di cui parlava Papa Francesco deve avere mura e tetti: possono essere di mattoni o di tela ma se sono un muro e un tetto smettono di essere parole e diventano una casa o cominciano a somigliarle davvero.
La fede di un cristiano è incarnata e da sempre la carne ha bisogno di trovare un riparo per rifocillare l’animo, per riposare la vita stanca, cioè la vita. Gesù non aveva dove posare il capo, ma lui stesso cercava ristoro e cibo in casa di amici. Lazzaro, che nel vangelo non dice neppure una parola, è l’unico amico di Gesù che sta nel Vangelo con il nome. Ed è lì perché dava la sua casa a Gesù e ai discepoli quando, andando a Gerusalemme, passavano da casa sua per mangiare e dormire.
Delle migliaia di volti che riescono a non morire in mare e che si riversano da noi, non sappiamo nulla e certo non li abbiamo scelti noi: ma il fatto è che sono loro ad averci scelti. Ogni volta che la Chiesa tira su una tendopoli, apre un cancello, sgombera le sale di un monastero, rifà i letti di un vescovado, arieggia le stanze di una parrocchia, fa la Chiesa perché fa la casa.
Le case stanno ferme e le persone si muovono. Se c’è una casa si può anche decidere di ripartire, di andare in Francia, come i migranti di Ventimiglia. Ma si può partire solo da un punto di partenza, si può andar via solo se si ha una casa, se no non è un viaggio. Senza casa si erra dispersi.
I migranti che andranno in Francia per unirsi alle loro famiglie lasceranno una casa in Italia come l’hanno lasciata in Africa. Lì sono nati ma qui sono rinati, perché sono stati accolti, asciugati, dissetati e sfamati. Una casa fa questo perché una casa è questo: il luogo dove si va a stare al riparo, a volte anche a riparo da sé stessi.
Le madri che raccolgono i figli per strada dopo una lite, mi raccontano che vogliono solo che i figli tornino a casa. C’è nel ritorno a casa qualcosa che nessun discorso ben preparato e vero può dire, che nessuna espressione di affetto può sostituire. Tornare a casa, è l’inizio -e il nuovo inizio- di ogni vita. Per questo è così importante aprire. Le periferie di Papa Francesco non sono luoghi dell’anima, sono luoghi geografici ed esistenziali abitati da persone coi loro corpi. E le persone non possono stare per strada. “Senza tetto” è il nome di chi vive ai bordi, fuori dalla società, dal “circolo produttivo” ma senza tetto non si può vivere. Perché non si può vivere per strada.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da l’Huffingtonpost
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