Il racconto di padre Georg Gänswein: «Ama fare le imitazioni delle voci. I suoi passi sono sempre più brevi»
Vorrei iniziare con una precisazione che forse potrà comunque essere molto utile. Queste «ultime conversazioni» non sono un «hard talk» bellicoso, alla maniera del famoso programma televisivo della BBC, e Peter Seewald non ha assolutamente cercato di mettere Benedetto XVI «sulla graticola».
Il libro contiene piuttosto la registrazione di una serie di incontri «cuore a cuore» svoltisi prima e dopo le dimissioni del Papa, tra due anime molto diverse tra loro ma bavaresi fino al midollo (questo lo posso dire io che non sono bavarese e vengo dalla Foresta Nera) che interrogando intensamente la memoria entrano in confidenza. Le risposte del Papa emerito sorprendono qui per un’intimità del tutto particolare e nuova in cui il libro coinvolge il lettore, e per una lingua diretta. Apprendiamo, per esempio, dalla bocca del Papa dopo le dimissioni che il suo oppositore Hans Küng «parlava troppo».
Commuove leggere in modo altrettanto improvviso, a pagina 49, tra parentesi: «il Papa piange» prima che l’anziano pontefice parli di quel 28 febbraio 2013, quando al calar della sera si librò in volo nel cielo di Roma a bordo di un elicottero bianco tra il suono di tutte le campane della città diretto a Castel Gandolfo, incontro alla sera della sua vita. «Ero molto commosso» dice. «Mentre mi libravo lassù e sentivo il suono delle campane di Roma sapevo che potevo ringraziare e che lo stato d’animo di fondo era la gratitudine». Mentre l’elicottero decollava io gli sedevo a fianco, profondamente scosso, come sa chi ha seguito sullo schermo del televisore questo commiato. E so che, contrariamente a me, lui allora non pianse, se mi è concesso qui di rivelarlo, e anch’io ho ancora nelle orecchie il suono delle campane di Roma sotto di noi, in quel volo che segnò un destino.
Devo sinceramente confessare che oggi, leggendo il libro, mi si inumidiscono ancor più gli occhi nei passaggi in cui l’anziano Papa ricorda come un tempo gli piacesse camminare e fare passeggiate. «A camminare sono sempre stato bravo» dice in un punto, «ogni giorno facevo la mia passeggiata» in un altro, mentre oggi io ho davanti agli occhi come quel camminatore appassionato riesce a compiere giorno dopo giorno solo passi sempre più brevi. Perciò, da molti mesi nessuno mi deve più dimostrare il buon senso delle sue dimissioni da un ministero estremamente gravoso.
Il Papa emerito continua a chiarire: non si trattò di una fuga, Roma non bruciava, non c’erano lupi che ululavano sotto la sua finestra e la sua casa era in ordine quando riconsegnò il testimone nelle mani dei «carissimi fratelli» del collegio cardinalizio. Il medico gli aveva detto che non poteva più attraversare l’Atlantico. Ma la Giornata mondiale della gioventù successiva che avrebbe dovuto aver luogo nel 2014 era stata anticipata al 2013 a causa dei mondiali di calcio. Altrimenti avrebbe cercato di resistere fino al 2014. «Ma così invece sapevo che non ce l’avrei fatta». Si è pentito, anche per un solo minuto, di essersi dimesso? «No. No, no. Vedo ogni giorno che era la cosa giusta da fare».
Seewald vuole sapere delle molte teorie del complotto di cui si continua a parlare dalle sue dimissioni. Ricatto? Cospirazione? «Sono tutte assurdità» taglia corto il Papa emerito. In verità, c’è ancora qualcosa da imparare dal suo passo, una novità di cui fare tesoro: «Il Papa non è un superuomo. Se si dimette, mantiene la responsabilità che ha assunto in un senso interiore, ma non nella funzione. Per questo il ministero papale non viene sminuito, anche se forse risalta più chiaramente la sua umanità».
Che cosa apprende l’opinione pubblica sul rapporto del Papa emerito con Francesco? Primo: non si aspettava Bergoglio. L’arcivescovo di Buenos Aires fu per lui fu «una grossa sorpresa». Non aveva idea di chi potesse essere il suo successore. Ma dopo l’elezione, non appena vide — in televisione a Castel Gandolfo — come il nuovo Papa «parlava da una parte con Dio, dall’altra con gli uomini, sono stato davvero contento. E felice». E fino a questo momento è soddisfatto del ministero di papa Francesco? Senza giri di parole, risponde: «Sì. C’è una nuova freschezza in seno alla Chiesa, una nuova allegria, un nuovo carisma che si rivolge agli uomini, è già una bella cosa. Molti sono grati che adesso il nuovo Papa abbia un nuovo stile. Il Papa è il Papa, non importa chi sia». Il suo modo di fare non gli crea problemi, «al contrario. Mi piace». Non vede una rottura con il suo pontificato: «Forse si pone l’accento su altri aspetti, ma non c’è alcuna contrapposizione».
«Avrei voluto fare il professore per tutta la vita»: lo era e lo resta fino ad oggi, un professore universitario, a cui piace fare le imitazioni delle voci, per esempio dello svizzero tedesco Hans Urs von Balthasar, e che ha scritto fino all’ultimo a matita discorsi e opere, numerosissimi, in una stenografia creata da lui stesso per tener dietro alla velocità dei suoi pensieri. E che anche nei periodi di crisi non rinunciava mai alle 7-8 ore di sonno di cui ha bisogno ogni notte né alla pennichella, a cui si era abituato dal 1963, dagli anni del Concilio trascorsi a Roma.
Nel settembre 1991 lui che non è mai stato un fumatore né un bevitore ha avuto un’emorragia cerebrale. «Adesso non posso proprio più» annunciò poi a Giovanni Paolo II, che tuttavia rifiutò categoricamente le sue dimissioni. «Gli anni dal 1991 al 1993 furono faticosi» commenta laconico. Nel 1994 subentrò un’embolia, e poi una maculopatia. Da allora, dunque già anni prima della sua elezione a successore di Pietro, vede molto male con l’occhio sinistro. Non l’ha mai fatto pesare. Il Papa semicieco! Chi l’ha mai saputo?!
di Georg Gänswein (Fonte: Corriere della Sera)
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