Benedetto XVI tra Woityla il Santo e Francesco il rivoluzionario

Al monastero Mater Ecclesiae in Vaticano, residenza di Joseph Ratzinger, squilla il telefono, è possibile che dall’altro lato della cornetta ci sia papa Francesco. Il segretario particolare di Benedetto XVI, ma anche prefetto della Casa pontificia, monsignor Georg Gänswein, trait d’union tra i due papi, riceve la telefonata e subito avvisa il padrone di casa: «È il Santo Padre». A quel punto il viso del Papa emerito s’illumina e una delle prime parole rivolte a Bergoglio è sempre: «Grazie del pensiero». Papa Francesco lo fa molto spesso, chiama Benedetto XVI per chiedere consigli (in una delle ultime occasioni, come ha svelato Gänswein, Ratzinger, su richiesta di Francesco, gli ha inviato quattro fogli con le riflessioni suscitate in lui dalla lettura dell’intervista al direttore de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro), ma soprattutto perché, come ha detto lo stesso Bergoglio, «con lui è come avere il nonno in casa, ma un nonno saggio». La saggezza di Ratzinger è, infatti, secondo molti cardinali, uno dei grandi tesori del Vaticano e della Chiesa universale, molto più prezioso delle opere dei musei o dei manoscritti medievali conservati nel chilometrico tunnel dell’Archivio segreto. E uno dei più grandi sostenitori di questa tesi è proprio papa Francesco, che per questo motivo ha scelto di avere accanto a sé, sempre presente con il pensiero e la preghiera dentro il recinto di San Pietro, il suo anziano predecessore.

Da un lato c’è il teologo tedesco, dall’altro lato della cornetta il “parroco del mondo”, il pastore argentino della Chiesa delle periferie esistenziali; qualcuno ha provato a metterli in contrapposizione, ma in realtà i due papi stanno dalla stessa, identica, parte, combattono la stessa battaglia per il bene della Chiesa. È anche questo uno dei motivi per cui, lo scorso febbraio, papa Francesco ha voluto che Benedetto fosse presente nella basilica di San Pietro per il concistoro. E che fosse accanto a lui, quattro mesi dopo la sua elezione, nel luglio 2013, nei giardini vaticani quando Bergoglio inaugurò la statua di san Michele: il Pontefice aveva chiesto al predecessore l’unione nella preghiera per consacrare la piccola città-Stato e il mondo intero all’arcangelo contro le insidie del demonio, spesso protagonista delle omelie del Papa. Anche quella volta, nei giardini d’Oltretevere, i due papi erano insieme, raccolti in preghiera per volere di Francesco al quale Ratzinger ha promesso più volte obbedienza: «Tra di voi – aveva detto Benedetto XVI ai cardinali nel giorno del suo addio al pontificato – c’è anche il mio successore, a cui prometto la mia incondizionata riverenza e obbedienza». Una strada tracciataQuando l’11 febbraio del 2013 Benedetto annunciò al collegio cardinalizio la sua rinuncia, Bergoglio era ancora l’arcivescovo di Buenos Aires e, proprio come coloro che erano presenti nella sala del concistoro del Palazzo apostolico, rimase stupito della scelta straordinariamente rivoluzionaria del Pontefice regnante. «Chi lo avrebbe mai detto?», sussurrò qualche anziano porporato passando un fazzoletto di stoffa sugli occhi umidi. «Me lo aspettavo che prima o poi sarebbe successo», replicò sottovoce qualcun altro, tenendo una mano davanti alla bocca e parlando al confratello seduto accanto. Ma la maggior parte dei principi della Chiesa non immaginava nemmeno che quel gesto avrebbe aperto la strada a un’altra grande “rivoluzione” chiamata Francesco.

Dopotutto Ratzinger ci aveva sperato: nei giorni immediatamente successivi allo storico annuncio, il Papa dimissionario pregava notte e giorno che lo Spirito Santo donasse alla Chiesa un successore forte e vigoroso, che potesse continuare la sua opera e allo stesso tempo potesse curare le ferite della Chiesa, accumulatesi negli anni. Nonostante ciò, ancora oggi, molti sembrano aver dimenticato il percorso tracciato da Ratzinger in quasi otto anni di pontificato, partendo dalla ferma battaglia al relativismo etico, fino alla durissima lotta alla pedofilia nella Chiesa, riducendo allo stato laicale, in soli due anni (2011 e 2012), 400 preti colpevoli di abusi su minori. L’ex custode della fede diventato vicario di Cristo aveva incoraggiato, passo dopo passo, una Chiesa affranta dalla morte di Giovanni Paolo II, l’aveva traghettata, con non poche difficoltà, in un momento storico in cui il mondo occidentale veniva denudato dai valori fondamentali. «L’Europa, contrariamente all’America – scriveva l’allora cardinale Ratzinger nel 2004 in un dialogo con Marcello Pera – è in rotta di collisione con la propria storia e si fa spesso portavoce di una negazione, quasi viscerale, di qualsiasi possibile dimensione pubblica dei valori cristiani». I consigli di Ratzinger Un tema che il Papa svilupperà nel corso di tutto il suo pontificato e che sarà l’oggetto principale del monumentale discorso tenuto al Collège des Bernardins a Parigi nel 2008: «Una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica, la domanda circa Dio sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi. Ciò che ha fondato la cultura dell’Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarlo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura».

Anche in quell’occasione Benedetto aveva brandito la croce astile in difesa di quei princìpi “non negoziabili” in crisi, come aveva fatto Wojtyla consigliandosi con lui quando era prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, e come sta facendo oggi, con uno stile ben diverso, papa Francesco, che trova ottimi consigli sempre dal saggio Papa emerito. Ma oltre a questi consigli donati al predecessore e al successore, ci sono radici ben più profonde, ma spesso sottovalutate, che hanno contraddistinto il pontificato di Ratzinger: oltre alla già citata lotta al relativismo etico e alla battaglia contro la pedofilia, Benedetto XVI è il papa che ha indicato un’affermazione del ruolo della Chiesa nella correlazione tra ragione e fede, «inseparabili e purificatrici l’una dell’altra». Argomento, questo, alla base della penultima enciclica di Giovanni Paolo II, Fides et Ratio (di cui il futuro papa tedesco conobbe la genesi), che è stato anche oggetto di un intenso dialogo dell’allora cardinale Ratzinger con il filosofo Jürgen Habermas.

O ancora, Benedetto XVI è il papa che ha tentato la riconciliazione con i lefebvriani, che ha inaugurato il dialogo tra Chiesa e mondo ateo, che ha aperto la strada al dialogo ecumenico con la Chiesa ortodossa russa, che ha compiuto viaggi chiave in Europa e Medio Oriente per dialogare con l’islam. E allo stesso tempo, su un piano più pratico, che ha permesso la beatificazione (e di conseguenza la canonizzazione) a tempo di record di Giovanni Paolo II, o, ancora più semplicemente, che amava il dialogo non preparato con i fedeli (preferiva ascoltare domande in pubblico e rispondere improvvisando) e che ha anche aperto a sorpresa un account su Twitter, oggi ceduto a papa Francesco, diventato sul social network l’uomo più influente del pianeta. Ma quanti oppositori Nonostante ciò, per Ratzinger le critiche non sono mancate: a Benedetto XVI si è rimproverato da più parti di esser stato un pontefice troppo distante dalla gente, un “papa troppo restauratore” (in contrapposizione a Francesco definito invece un “rottamatore”), “colpevole” agli occhi di molti esponenti interni ed esterni alla curia romana di aver firmato il decreto che liberalizza l’uso del messale preconciliare per la celebrazione della Messa in latino, di aver ripristinato l’utilizzo di determinati paramenti sacri o abiti e accessori per le uscite pubbliche del papa ormai caduti da tempo in disuso, di avere, insomma, lasciato troppo spazio dentro la Chiesa ai tradizionalisti.

E tra gli oppositori, chi conosceva il cardinale Ratzinger prima del conclave, nel giorno della sua elezione a vescovo di Roma aveva subito criticato il nuovo pontefice, immaginando che il Papa appena eletto avrebbe agito in questo modo, cullandosi però del fatto che quello di Ratzinger sarebbe stato “un pontificato breve, di transizione”. Ma così non è stato ed è anche per questo che son partiti, dopo poco tempo dalla fumata bianca e a intermittenza calcolata, attacchi feroci contro il Papa e i suoi collaboratori (colpiti anch’essi per mettere il Pontefice in difficoltà); veleni e strategie distruttive studiate nei minimi dettagli per ferire il pontificato di Benedetto XVI: dal “caso Ratisbona” alla polemica sull’uso del preservativo, dalle accuse americane di aver insabbiato casi di pedofilia al “caso Williamson” (il vescovo lefebvriano negazionista della Shoah a cui il Papa tolse la scomunica del 1988 per essere stato ordinato illegittimamente), fino ad arrivare al furto dei suoi documenti riservati, reato che ha trascinato tutta la Chiesa nel torbido Vatileaks. Una stagione nera, un inverno buio che però Ratzinger, ormai anziano e debole, è riuscito a trasformare in una primavera. E così è arrivato Francesco, che sta seguendo il percorso tracciato con precisione dal suo predecessore e lo sta arricchendo con il suo stile pastorale senza precedenti. Tutto questo mantenendo un filo diretto con il saggio “nonno Benedetto”, tenendo viva una linea papale che, di certo, non è soltanto una semplice linea telefonica. di Fabio Marchese Ragona

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