Il Testamento di frate Francesco si chiude con parole che denotano una certezza: «chiunque osserverà» quanto è stato scritto in precedenza «sia ripieno della benedizione dell’altissimo Padre e in terra sia ripieno della benedizione del diletto suo Figlio con il santissimo Spirito Paraclito e tutte le virtù dei cieli e tutti i santi».
La certezza di frate Francesco è di aver fornito indicazioni perfettamente in linea con la decisione di «vivere secondo il modello del santo vangelo», come gli era stato «rivelato» dallo stesso Altissimo. La strada per la salvezza e la gioia eterna era indicata in modo chiaro, per quanto assai difficile potesse essere perseguirla. L’indicazione valeva per i frati Minori del presente e del futuro che avrebbero dovuto sempre tenere presenti il “suo” testamento in quanto «rimembranza, ammonizione ed esortazione»: la “vita” e la parola di frate Francesco si facevano paradigma di autenticità.
«E io, frate Francesco piccolo, vostro servo, per quanto posso, vi confermo dentro e fuori questa santissima benedizione»: è il saluto finale, quasi l’estremo atto di servizio che frate Francesco compie nei confronti dei suoi fratelli/frati.
Anche da qui nasce quella «eredità difficile» – una eredità che non comporta alcunché di materiale – con la quale le generazioni di frati Minori hanno dovuto via via fare i conti e che ancora oggi agisce nella vita di chi a quella «eredità difficile» decide di collegarsi e di sperimentarne nella contemporaneità gli elementi costitutivi.
di Grado Giovanni Merlo
prof. Università di Milano e Presidente della Società internazionale di studi francescani