Beppe Convertini è il sorriso della porta accanto. Entra nelle nostre case la domenica mattina su Rai Uno con Linea Verde e ci regala con garbo e spontaneità il ritratto autentico e generoso di una provincia italiana ancora saldamente legata alle proprie radici e tradizioni. E gli ascolti danno ragione a lui e al programma: il 25% di share con oltre 3 milioni e mezzo di spettatori. A realizzare queste domanda è il quotidiano Libero.
Beppe, qual è il segreto? «Sono al quarto anno di conduzione, ho circa 150 puntate alle spalle. È felicità ed orgoglio raccontare il posto più bello del mondo, attraverso le sue bellezze artistiche, storiche, culturali ed enogastronomiche spesso fuori dai tradizionali itinerari turistici. Il successo sta nello straordinario gioco di squadra e nel pubblico che ci segue con affetto.
I telespettatori spesso mi fermano per strada e si fanno consigliare un luogo dove trascorrere un weekend o una vacanza, mi chiedono una ricetta e a quale vino abbinarla. Per rispondere alle loro domande a marzo uscirà Borghi che vai, edito da Rai Libri, ma Linea Verde ha anche un altro valore aggiunto».
Ci dica.
«Raccontiamo come avere cura del pianeta così da lasciare ai nostri nipoti un mondo migliore. Diamo molto risalto alla parte ecologica e alla sostenibilità ambientale. Ognuno di noi può fare qualcosa: la raccolta differenziata, prestare attenzione al consumo dell’acqua e dell’energia elettrica… Io, per esempio, da 15 anni non ho più l’auto e opto per i mezzi pubblici o per lunghe camminate che, tra l’altro, fanno bene».
Linea Verde ha molto di quello che è lei: semplicità, genuinità, curiosità.
«Sono nato a Martina Franca, provincia di Taranto. Sono molto legato alle mie origini, ai valori della famiglia e alle tradizioni. La mia anima di provincia è identica a quella delle persone che incontro e racconto in puntata. Ieri come oggi insieme alla mia famiglia vendemmio, curo l’orto, raccolgo le olive, preparo le conserve e metto sott’olio le verdure per l’inverno. Per questo mi è naturale ascoltare ed imparare da agricoltori, artigiani e allevatori che incontro dal Nord al Sud. Sono uno di loro, raccontare le loro vite mi arricchisce umanamente. Spesso raccontiamo storie straordinarie di nonni e nonne che, anche in tempi di pandemia, hanno fatto crescere l’agricoltura, l’artigianato e l’allevamento. Quelle stesse persone oggi restano un sostegno economico fondamentale per figli e nipoti in un momento storico complicato. Io, per esempio, sono legatissimo a mia mamma che ha 85 anni e fa le orecchiette a mano alla velocità della luce: cerco di restituirle tutto il bene ricevuto».
Lei racconta l’anima ospitale e generosa dell’Italia, ma cosa occorre migliorare?
«Le infrastrutture, ovvero le vie di comunicazione. Tanti borghi e località sono ancora troppo difficili da raggiungere, occorre portare turisti anche lì facilitandone gli spostamenti. Il governo lo vedo attento su questo fronte, sta lavorando bene sul potenziamento delle strade, della rete ferroviaria e delle linee aeree e marittime».
Cinema, teatro, televisione: ha un curriculum incredibile. Eppure tutto iniziò con il titolo di “Il più bello d’Italia” nel 1993. È l’unico dato che non compare su Wikipedia: lo ha rimosso?
«Mava là… era il 1920 (ride, ndr), epoca remota per internet e cellulari. Le notizie giravano ancora coi fax. Ero a Diano Marina con alcuni amici che a mia insaputa mi hanno iscritto al concorso. La verità è che probabilmente i veri belli erano rimasti a casa, così ho vinto io e mi sono divertito un mondo».
Lei è cresciuto in una famiglia umile e dai sani principi.
«Una famiglia all’antica. Mamma Chiara aveva il suo bel da fare con 3 figli e i conti da far quadrare. Papà Donato faceva il papà, non l’amico: duro, severo, ma sorridente. Era camionista, partiva all’alba e rientrava alla sera: alle 20 dovevamo cenare tutti insieme, senza eccezioni. Ci è stato strappato da un cancro in 7 mesi e a 17 anni mi sono ritrovato capo-famiglia. Studiavo e facevo tanti lavori per rimediare qualche soldo. Sono stati tempi duri, senza neppure la pensione minima di reversibilità giunta solo dopo annidi pratiche. Un giorno io e mia sorella Anna abbiamo rotto il salvadanaio per pagare le bollette. Ci siamo sempre stretti nel concetto di famiglia. Lo sa? Papà è morto nel 1990 ma ha ancora il suo posto a tavola. È il mio angelo custode. I mesi della sua malattia sono stati strazianti, ma in quel periodo ho capito l’importanza del dire “ti voglio bene” e del volontariato».
Ci racconti.
«Durante la fase terminale della malattia alcuni medici volontari venivano quotidianamente a casa nostra da ogni parte della Puglia per medicarlo. Ho sentito anch’io il bisogno di fare qualcosa per ricambiare il bene ricevuto. Sono partito per due missioni umanitarie nei campi profughi siriani: nel 2013 ad Aarsal e nel 2017 a Zarqa, in Giordania. A giugno, al termine di Linea Verde, tornerò per alcune settimane in un campo profughi siriano per vedere cosa è accaduto e tenere alta l’attenzione sul problema».
Lei ha sempre professato il legame forte con la fede e la devozione a Padre Pio.
«La fede è l’elemento più importante della mia vita, Dio è sempre al mio fianco. Ho fatto il chierichetto da bambino e sono un cattolico praticante. Sono molto devoto a Padre Pio perché mamma si era rivolta a lui per avere un altro figlio dopo mia sorella Maria. Ne aveva perso uno a 6 mesi, temeva di non riuscirci più. Ha incontrato Padre Pio più volte, si sono scritti e conserva ancora le sue lettere. Mamma si era fidata di lui, io sono nato 3 anni dopo la sua morte e 10 anni dopo la nascita di Maria. Gli sono grato».
È vero che si fa il segno della croce prima di Linea Verde?
«È un gesto che utilizzo tantissimo, non solo prima dei miei programmi, ma prima dei viaggi, prima di andare a dormire o del pranzo. Mi aiuta a vivere meglio, mi fa sentire in pace e mi dà sicurezza».
L’intervista originale su Libero