“Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione… E ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser… E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. E’ tempo di morire…”.
A questo punto il biondo, mefistofelico, angelico Roy Batty (alias Rutger Hauer) reclina il capo sul corpo nudo, striato dalla pioggia battente, spegnendosi come un abat-jour a cui sia stato girato l’interruttore. Lasciando lo stremato, terrorizzato Rick Deckard (l’indimenticabile cacciatore di replicanti impersonato da Harrison Ford) a porsi la domanda che tutti noi, prima o poi, ci facciamo: che cosa definisce un essere umano?
E’ una scena entrata di diritto nella storia del grande schermo. Una delle più intense di quel film, Blade Runner, che alla sua uscita nel 1982 ha segnato una svolta epocale nel filone adulto del cinema di fantascienza. Quello, tanto per intenderci, che da Ultimatum alla terra e Il pianeta proibito è cresciuto passando per 2001 Odissea nello spazio e Solaris fino a toccare l’acme col racconto dello scrittore Philip K. Dick trasposto sullo schermo, attraverso mille difficoltà, da Ridley Scott. Quante volte, negli ultimi decenni, abbiamo riassaporato questa sequenza. Vedendola di nuovo al cinema (per una delle tante riedizioni del film, magari quella director’s cut preferita da Ridley Scott con il finale ambiguo e senza la voce fuori campo). Oppure gustandocela da soli, di notte, di fronte al piccolo schermo, in una delle tante repliche proposte instancabilmente dai canali televisivi. Ogni volta la stessa emozione. Le stesse suggestioni visive di fronte alla materializzazione di un futuro paventato, temuto ma in fondo possibile, affascinante.
BLADE RUNNER 2049 – LA RECENSIONE
Un mito così forte che la notizia che lo stesso Scott, nella veste di produttore, abbia deciso di dare un seguito al film affidando la cinepresa al canadese Denis Villeneuve (già candidato all’Oscar per il bellissimo La donna che canta) ha sconcertato. Seduti in sala, eravamo pronti a gridare al sacrilegio.
Invece, Blade Runner 2049 è un film stupendo. Capace di catturare fin dalla prima inquadratura in cui l’occhio del nuovo protagonista, il poliziotto K interpretato da Ryan Gosling, supera l’ennesimo test confermando che è tutto a posto: la sua efficienza di replicante è in ordine, perciò può tornare a caccia di replicanti cattivi. Si perché, anche se dalla prima avventura sono trascorsi trent’anni e la Tyrell Corporation è ormai fallita rimpiazzata da Wallace (che fabbrica nuovi robot umanizzati che hanno colonizzato ben nove pianeti extra mondo), in giro c’è sempre bisogno dei super poliziotti della squadra Blade Runner.
Esemplari superstiti della produzione Nexus 6 (quella realizzata da Tyrell all’insegna del motto “più umano dell’umano”) sono ancora in circolazione, imboscati in zone sperdute del globo. Sono pericolosi, vanno “ritirati”. Missione che K esegue, ancora una volta. Ma cosa ci sarà di tanto pericoloso? E perché il massiccio, invecchiato Nexus 6 che ha appena eliminato in mezzo a sterminate serre per l’allevamento di bruchi (le proteine alimentari scarseggiano) teneva in piedi un albero rinsecchito con tiranti d’acciaio? La terra è dovunque arida, polverosa, rugginosa.
Tutto sta morendo. Perché quel simbolo? Scavando tra le radici pietrificate, K troverà qualcosa di inaspettato. Una cosa così sconvolgente da poter compromettere il precario equilibrio tra umani e replicanti, su cui si regge la realtà che tutti conoscono. Non riveliamo nient’altro, al di là dello stuzzicante incipit, perché lo stesso regista (con messaggio proiettato sullo schermo a inizio film) prega chi è in sala di non rivelare i risvolti di una trama a tal punto appassionante che sarebbe un peccato rovinare la sorpresa agli altri spettatori. Ha ragione.
Diciamo però che dal punto di vista cromatico e visivo, Blade Runner 2049 è all’altezza dell’originale. Piace la scelta di Villeneuve di far crescere la nuova storia nella scia della prima non per accumulazione (moltiplicando cioè effetti speciali, trovate tecnologiche, meraviglie visionarie) bensì per sottrazione: c’è tutto quello che si vedeva nella prima pellicola ma tutto è consunto, usato, sporco, incorniciato da neve, scorie e polvere rugginosa che testimoniano come (nei trent’anni trascorsi) il progresso dell’umanità non sia affatto andato avanti. Dialoghi scarni, essenziali. Azione e violenza solo là dove servono. E un’urgenza morale, quasi filosofica che cresce nello spettatore così come nel protagonista (l’efficacissimo Ryan Gosling): cos’è umano e cosa non lo è? I personaggi sono tutti ben dosati, eccezion fatta forse per l’antagonista Wallace: burattinaio di scarsi umori psicologici. Ma la storia scorre via impetuosa, puntando sulla lotta fratricida tra replicanti cinicamente sobillata dagli umani. Della trama piace il suo essere fedele all’idea originale riuscendo, allo stesso tempo, ad andare ben oltre.
Non un puro sequel ma una reinvenzione, ricca di creatività. E di valori. Basti dire che, man mano che avanza la storia, sui personaggi soffia forte un afflato biblico. Come si chiamava la bellissima e intelligente replicante (segretaria di Tyrell) di cui Deckard s’innamorava nella prima pellicola? Rachel. Rachele. Dice nulla? Lo stesso Nexus 6, “ritirato” da K a inizio film, prima di morire apostrofa il suo carnefice rimproverandogli di non credere ai miracoli. Insomma, perfino nel futuro più tecnologico, tragico, sporco, disumano… Dio esiste.
E anche Harrison Ford a cui Villeneuve, nell’ultima mezz’ora di film, offre una delle sue migliori prove di attore. Non un banale remake da vecchio nostalgico (come capitato con Guerre Stellari) ma un reale sviluppo del personaggio. Una crescita capace di regalargli ulteriore spessore e, ci scommettiamo, un altro pezzetto di eternità cinematografica. “Blade Runner è stato una rivoluzione. Ha fuso due generi, fantascienza e noir, che non sembravano viaggiare insieme”, spiega Villeneuve. “Qualcosa di mai visto, che mi ha profondamente influenzato prima ancora che pensassi di diventare regista. Ridley ed io volevamo rispettare la visione di Philip K. Dick”. Missione riuscita.
Fonte www.famigliacristiana.it