E’ stato convalidato il fermo per Mohsin Ibrahim Omar, ventenne somalo accusato di terrorismo internazionale, istigazione e apologia aggravate dall´utilizzo del mezzo informatico e telematico. Nelle intercettazioni della Digos le parole dell’uomo: “Bruciamo tutte le chiese d’Italia. Ibrahim era stato fermato il 13 dicembre scorso dalla Digos di Bari e da allora è detenuto nel carcere pugliese. Secondo le forze dell’ordine, Mohsin – conosciuto come Anas Khalil – era un membro armato di Daesh della cellula somala.
«Mettiamo bombe nelle chiese», così parlava al telefono Mohsin Ibrahim Omar, noto come Anas Khalil, il 20enne somalo in carcere a Bari dallo scorso 13 dicembre per terrorismo internazionale e ritenuto dalle agenzie per la sicurezza Aisi e Aise come affiliato al Daesh in Somalia e in contatto con una sua cellula operativa. È quanto emerge dalle indagini della Digos della Questura di Bari, coordinate dalla Dda.
«Mettiamo bombe a tutte le chiese d’Italia. La Chiesa più grande dove sta? Sta a Roma?». È una delle frasi intercettate dalla Dda. «L’urgenza di eseguire il provvedimento restrittivo – spiegano gli investigatori – è stata dettata dai riferimenti all’elaborazione di possibili progettualità ostili in relazione alle imminenti festività natalizie e alle chiese, in quando luoghi frequentati solo da cristiani»
E ancora: «Speriamo. Quello che uccide i cristiani, i nemici di Allah, è un nostro fratello. Da dove viene, viene. Però se uccide i cristiani è nostro fratello», dice Mohsin Ibrahim Omar alias Anas Khalil al telefono, commentando l’attentato a Strasburgo dello scorso 11 dicembre.
Le indagini sono state svolte dalla Digos della Questura di Bari, coordinate dalla Dda e sotto il coordinamento a livello centrale del Servizio per il Contrasto al Terrorismo Esterno della Dcpp/Ucigos con il supporto dell’Aisi e del Federal Bureau of Investigation statunitense (FBI) ed hanno consentito di documentare la «totale adesione dello straniero all’ideologia del cosiddetto stato islamico – spiegano gli inquirenti – e la sua organicità alla componente armata somalo-keniota di Daesh».
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Sui social, in particolare Facebook, il giovane avrebbe diffuso foto e post di «esaltazione al martirio» e sono stati raccolti elementi relativi all’attività di «intenso indottrinamento su un altro straniero in corso di identificazione, al quale – dicono gli investigatori – impartiva vere e proprie istruzioni teorico-operative sul concetto di jihad armato».
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