Bruno Cornacchiola, nasce a Roma il 9 maggio 1913 da poveri genitori, cattolici non praticanti. Al battesimo il parroco di Santa Elena dovette faticare non poco con il padre, Antonio, che voleva imporre al figlio, non Bruno ma «Giordano Bruno, come quello che voi preti avete bruciato vivo a Campo de’ Fiori».
ECCO LA STORIA DELLE TRE FONTANE
Bruno ricevette la prima Comunione e la cresima in circostanze piuttosto curiose. Era scappato da casa. In una gelida mattinata del gennaio 1927, mentre presso la Scala Santa dorme all’addiaccio coperto da un cumulo di giornali, è svegliato da una pia signora, che gli chiede fra l’altro, se avesse fatto la comunione e se sua madre facesse la comunione. Risponde: «Mamma delle volte ce fa la pastasciutta, er minestrone…, ma ’sto pranzo non ce l’ha cucinato mai!».
Istruito da un padre passionista, il 7 marzo 1927 riceve la prima comunione e la cresima, padrino il segretario del vescovo cresimante, non avendo un accompagnatore. La miseria, che lo costringeva a fare mille mestieri, gli ispirava odio feroce verso la borghesia, responsabile della sua infelicità. Ebbe un vestito decente quando raggiunse Ravenna per il servizio militare, che durò 18 mesi. Al termine, nel settembre 1935 si fidanzò con Iolanda Lo Gatto, sposandola la sera del 6 marzo 1936, ma nella sagrestia della chiesa di Santa Elena perché, se lui voleva il matrimonio in Campidoglio, lei lo voleva in chiesa.
Partì volontario in Spagna nel dicembre 1936, ormai comunista clandestino. Fino al 1938 nell’infuriare della guerra civile si abbandonò a ogni sorta di violenza contro la popolazione, tradendo più volte la moglie. In Spagna un amico protestante tedesco, molto avverso alla Chiesa cattolica e alle sue “fandonie” (confessione, Messa, Eucaristia, Immacolata). Riesce a convincerlo che il papa è “la Bestia dell’Apocalisse”, «responsabile dell’ignoranza dei poveri, che procura la miseria alle genti e paga le guerre e rivoluzioni».
Bruno rimane talmente suggestionato che, a Toledo, compra un pugnale, intenzionato a uccidere il papa. Rientrato in Italia nel 1939, fu assunto come manovale dall’azienda autofilotranviaria di Roma, passando a bigliettaio nel 1940. Frequentando la chiesa battista costringe con modi violenti la moglie a partecipare al culto; ma crescendo nel suo animo il livore contro i preti e la Chiesa cattolica, nel 1945 aderì agli Avventisti del settimo giorno, tra i quali fu direttore della gioventù missionaria del Lazio. Con altri avventisti il 17 marzo 1947 intervenne al dibattito teologico indetto nella sua casa della signora Linda Mancini, spalleggiata dal p. Bonaventura Mariani, dei Frati Minori, docente di Sacra Scrittura all’Antonianum.
Cornacchiola si distinse nel trasformare la disputa in rissa, inveendo contro i preti, che interpretano a modo loro la Bibbia per ingannare la gente. Al termine del lungo confronto alcune signore gli fecero notare che l’inquietudine interiore traspariva dal suo volto. Gli dissero: «Rivolgiti alla Madonna, lei ti salverà».
In realtà Cornacchiola, sentiva di essere già mutato, e lo annotò nel suo diario al 21 febbraio 1947, eppure continuava la sua propaganda anticattolica. Nel fatidico pomeriggio di sabato 12 aprile 1947, presso una squallida grotta alle Tre Fontane, rifugio di coppie irregolari, egli prendeva appunti perché il giorno seguente avrebbe dovuto incitare i giovani «a rifiutare l’Eucaristia che non è presenza reale di Cristo; a rifiutare il papa, che non è infallibile».
12 aprile 1947, ore 14.00 circa. Bruno parte con i suoi tre bambini: Isola, di undici anni, Carlo di sette e Gianfranco di quattro, verso periferia di Roma, sulla Laurentina . Doveva tenere, infatti, una conferenza ad una associazione giovanile. Mentre i tre bambini giocano, Bruno prepara un testo col quale intende dimostrare che Maria SS.ma non è Vergine, che il dogma dell’Immacolata Concezione è una fantasia dei preti al pari di quello dell’Assunzione in Cielo.
Mentre è intento a consultare la Bibbia per trovare i passi adatti a sostenere le sue tesi, i bambini che giocavano lo interrompono dicendogli di aver perso la palla. E qui, preferisco sia lo stesso Cornacchiola a raccontarci il prosieguo, in questa descrizione particolareggiata che ci ha lasciato.
“Raccomando a Gianfranco, il più piccolo, di non muoversi e gli do per passatempo un giornaletto. Poi con gli altri mi metto a frugare ogni cespuglio. Per assicurarmi che il più piccino non si allontani rischiando di cadere in qualche buca, lo chiamo di quando in quando. Ma, a un certo punto, non mi risponde più. Allora mi precipito a vedere. E scopro il bambino a sinistra dell’ingresso di una grotta, in ginocchio e con le mani giunte.
Parlava con qualcuno che non vedevo, ma che pareva stare davanti a lui: «Bella signora, bella signora!». Chiamo mia figlia Isola, che aveva un mazzetto di fiori in mano, e Carlo. Ci avviciniamo tutti e tre a Gianfranco. «Vedete qualcosa?», faccio io. «Niente», rispondono i ragazzi. Ma ecco che Isola piega le ginocchia, congiunge le mani ed esclama, rivolta verso un punto della grotta: «Bella signora!». Penso a uno scherzo dei ragazzi, penso anche che la grotta sia stregata.
Dico allora a Carlo che mi sta vicino: «E tu non ti inginocchi?». «Ma va’!», mi fa lui. Però non finisce la frase e cade a terra in ginocchio con le mani in preghiera, guarda là dove sono rivolti gli sguardi dei fratelli. Mi impaurisco, cerco di scuotere gli inginocchiati, ma sembrano di pietra.
Li guardo meglio: sono diventati bianchissimi, quasi trasparenti. Le loro pupille sono dilatate. «Signore, salvaci tu!», mi viene spontaneo di mormorare. Ho appena finito l’invocazione che mi sembra di sentire due mani che da dietro mi spingono e quindi mi tolgono un velario dagli occhi. In quell’istante la grotta scompare dinanzi a me, mi sento leggero leggero, quasi sciolto dalla carne e avvolto da una luce eterna, in mezzo alla quale vedo la figura di una donna paradisiaca, che descrivere non mi è possibile. Posso dire solo che il viso, di tipo orientale e di colorito olivastro, era bello, di una bellezza dignitosa.
La donna aveva i capelli neri riuniti sul capo, visibili quanto poteva permetterlo il manto che dalla testa le scendeva fino ai piedi. Il manto era del colore dell’erba dei prati a primavera. La veste invece era candida, stretta in vita da una fascia rosea le cui bande giungevano fino alle ginocchia. I piedi nudi poggiavano sopra un blocco di tufo. Sarà stata alta circa un metro e 65 centimetri. La «bella signora» aveva un libricino grigio nella mano destra […].
Poi la «bella signora» parlò con voce dolcissima e disse: «Sono colei che sono nella Trinità divina. Sono la Vergine della Rivelazione. Tu mi perseguiti, ora basta! Rientra nell’Ovile Santo, Corte Celeste in terra. Il giuramento di Dio è e rimane immutabile: i nove venerdì del Sacro Cuore che tu facesti, amorevolmente spinto dalla tua fedele sposa, prima di entrare nella via della menzogna, ti hanno salvato!»”.
La grotta, impregnata d’un odore sgradevole, si riempie improvvisamente di un dolcissimo profumo che sembra coprire la sporcizia del suolo, triste strascico di squallide visite.
Prima di accomiatarsi, la Vergine della Rivelazione gli avrebbe lasciato un segno, in modo che l’uomo non avesse alcun dubbio sull’origine divina e non diabolica della visione. La prova riguardava il futuro incontro tra Cornacchiola e un sacerdote, che si sarebbe verificato in seguito proprio secondo quanto preannunciato. A seguito dell’abiura, Cornacchiola fu nuovamente accolto nella comunità cattolica.
Bruno Cornacchiola raccontò di avere avuto altre apparizioni. Precisamente il 6, 23 e 30 maggio. In seguito preparò un testo, in cui descriveva la sua conversione, e questo fu affisso all’ingresso della grotta l’8 settembre 1948. Il luogo divenne meta di pellegrinaggio.
Cornacchiola incontrò Pio XII il 9 dicembre 1949: confessò al pontefice che dieci anni prima, al ritorno dalla guerra civile spagnola, aveva progettato di ucciderlo. Dopo quest’episodio fu scolpita una statua di Maria, secondo le indicazioni del veggente, e fu posta nella grotta, dove ormai hanno luogo guarigioni e conversioni.
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