Da una parte la crisi, dall’altra il desiderio: è il “problema culturale”, con tutte le sue ambiguità e contraddizioni, quello da cui deve partire la Chiesa per trovare modalità nuove di annunciare la “bellezza della famiglia”. Parola di monsignor Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto e segretario speciale della terza Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei vescovi sulla famiglia, che si aprirà il 5 ottobre in Vaticano. Alla vigilia dell’evento, mons. Forte descrive al Sir il clima di “grande attesa, a volte esagerata o orientata solo su singoli aspetti”. Come la questione dei divorziati risposati, che è una “questione pastorale” più che dottrinale: “La Chiesa cattolica – spiega l’arcivescovo – riafferma il dono e la grazia del matrimonio indissolubile, e nello stesso tempo cerca di trovare vie di attenzione e di misericordia verso chi ha vissuto in famiglie ferite”.
Siamo ormai alla vigilia del Sinodo: quali le attese?
“Indubbiamente c’è una grande attesa, a volte anche esagerata o orientata solo su singoli aspetti, come la questione dei divorziati risposati. Bisogna anche dire, però, che il questionario formulato su iniziativa del Sinodo dei vescovi e le relative risposte contengono due elementi che fanno chiarezza: da una parte, nel mondo, soprattutto in quello occidentale, la famiglia è in crisi e, dall’altra parte, c’è un grande desiderio di famiglia, in particolare da parte dei giovani, quasi che si senta il bisogno di vincoli affidabili, duraturi che sostengano un comune progetto di vita. La famiglia, dunque, come scuola di umanità alla quale attingere nel momento in cui ci si prepara alle grandi scelte della vita”.
Sul tema delle “famiglie ferite”, a livello mediatico, abbiamo assistito negli ultimi tempi a un tentativo di “polarizzazione”, quasi che nella Chiesa ci fossero questioni di geopolitica e lotte tra opposte fazioni…
“La realtà è che non c’è nessuna polarizzazione sui singoli aspetti: la Chiesa vuole annunciare la bellezza della famiglia, fonte di crescita per la persona e la società, oltre che di significativa rilevanza per la vita della Chiesa. A livello pastorale, le famiglie non devono limitarsi a essere destinatarie, ma devono diventare sempre di più soggetto e protagoniste dell’annuncio”.
La questione dei divorziati risposati è senza dubbio quella che ha registrato la risonanza più ampia nel dibattito sui media: ha a che fare di più con la pastorale o con la dottrina?
“I divorziati risposati sono battezzati, sono figli della Chiesa, che la Chiesa ama e che la misericordia di Dio vuole raggiungere. Bisogna cercare tutte le forme per esprimere in maniera più affidabile e fondata la stessa misericordia che Dio usa verso di loro. Certamente si tratta di una questione pastorale: già Giovanni XXIII insisteva sul carattere pastorale del Concilio Vaticano II. Ciò che vogliamo testimoniare è la prossimità, la vicinanza, l’attenzione amorevole per le situazioni di difficoltà delle famiglie, oltre che l’impegno a proporre un messaggio di misericordia con un linguaggio nuovo”.
Qual è la prassi da seguire? C’è chi ha suggerito il “modello” della Chiesa ortodossa.
“Innanzitutto occorre chiarire che nella Chiesa ortodossa non c’è un secondo o terzo matrimonio: c’è solo il primo, e dopo il primo il sacerdote dà una benedizione che non ha valore sacramentale, ma soltanto di invito alla penitenza e di invocazione della grazia di Dio, perché aiuti le persone a vivere queste situazioni inedite per loro e per le loro famiglie ferite. È una prassi condivisibile, ma ciò non significa in nessun modo che la Chiesa autorizzi un secondo o un terzo matrimonio e che venga meno alla sua fede nell’indissolubilità del sacramento. La Chiesa cattolica riafferma il dono e la grazia del matrimonio indissolubile e, nello stesso tempo, cerca di trovare vie di attenzione e di misericordia verso chi ha vissuto in famiglie ferite”.
“Misericordia” è una delle parole-chiave del pontificato di Francesco, e “accompagnare” è il verbo che ricorre più di frequente nell’Instrumentum laboris del Sinodo…
“Dio ci accompagna sempre, nell’ora della prova, non ci lascia mai soli: se vuole essere fedele al Vangelo, la Chiesa deve essere capace di accompagnare tutti coloro che hanno ricevuto i doni dello Spirito, tutti coloro che condividono con noi la comune umanità. Attraverso il suo messaggio di amore, di fede e di speranza, Dio si è fatto in Cristo compagno di strada di ogni uomo”.
Da dove cominciare, allora? Qual è, secondo lei, il problema centrale che deve affrontare il Sinodo?
“Senza dubbio il problema culturale. Partendo dal cuore della questione: la crisi e, nello stesso tempo, il desiderio di famiglia. La Chiesa vuole rendere comprensibile l’annuncio bello del Vangelo della famiglia: un obiettivo che richiede un linguaggio nuovo e nuove modalità per comunicarlo”.
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