“Buddha medita, Gesù grida”. Con questa espressione il teologo J. B. Metz, riconosciuto come il fondatore della nuova teologia politica, commenta la differenza fra il maestro di ascesi che con il suo movimento riformò l’induismo e dal quale nacque il buddismo, e Gesù di Nazareth grande profeta per gli uomini, figlio di Dio e redentore per i cristiani. Credo che tale battuta possa in qualche maniera far recepire da una buona angolatura quanto Papa Francesco abbia voluto dire ai membri della Chiesa cattolica con la sua prima Esortazione apostolica dal titolo Evangelii gaudium. Buddha attraverso la meditazione cercava di liberarsi radicalmente dalle fatiche e dalle sofferenze umane. Gesù sulla croce, grida al Padre che lo ha inviato una domanda che mostra profondamente quanto egli sia stato veramente uomo: Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato? Essa sintetizza tutta la sua vicenda di vicinanza e di condivisione con la sofferenza umana espressa in molteplici modi durante il suo annuncio del Regno per le strade della Palestina. Insomma Gesù, non fugge dalle difficoltà umane, ma le attraversa per darle nuovo significato con la sua resurrezione. E mi pare che questo voglia ribadire il vescovo di Roma con il testo da poco scritto.
Anzitutto Evangelii gaudium pare una breve e aggiornata rilettura sintetica di quanto emerso al Concilio Vaticano II. Infatti nel documento, ad un ottimismo di fondo sulla storia si lega la comprensione di una Chiesa che vive e agisce con una vera e piena corresponsabilità dei propri membri chiamati a diversi ministeri e uffici. Colpisce inoltre la frequenza delle citazioni nel testo da parte del Papa degli scritti e degli insegnamenti delle conferenze episcopali dell’intero globo. Ciò mostra come il vescovo di Roma sia aperto e attento ai suggerimenti e al magistero dei vescovi sparsi per il mondo presentando così una collegialità episcopale da sviluppare ulteriormente. Al numero 22 del testo, Francesco ricorda la centralità della Parola di Dio per la comunità dei cristiani, la quale in sé ha una potenzialità che nessun operatore pastorale può prevedere. L’importanza della Parola da annunciare e vivere obbliga i cristiani ad organizzarsi in uno stato permanente di missione. La centralità del Vangelo così, invita la comunità credente a rispondere al Dio che ama e salva, prima ancora di formulare ricadute morali. Ciò per il Papa conduce alla visione di una Chiesa che esce, che si incammina nelle strade del mondo per servire più che stare aggrappata alle proprie sicurezze.
Proprio come nei diversi documenti del Vaticano II, l’esortazione di Francesco si sofferma altresì sulla liturgia, sulla pastorale e sul mondo contemporaneo. L’analisi di quest’ultimo tema porta il vescovo di Roma a discutere nel IV capitolo di Evangelii gaudium della dimensione sociale dell’evangelizzazione. E qui, mi pare che il grido della Chiesa per la ricerca del bene comune si alza forte e chiaro. Infatti l’annuncio dell’evangelo e la gioia da esso prodotta, induce i credenti ad impegnarsi nella realtà temporale per la tensione al bene di tutti. In questa sezione dell’esortazione, che sembra una sorta di compendio della dottrina sociale della Chiesa, Francesco ribadisce il posto privilegiato dei poveri nel popolo di Dio che invita l’intera comunità credente ad avere cura delle fragilità, a far prevalere l’unità sulla rottura, a sostenere il dialogo come via per la pace. In queste modalità, Evangelii gaudium permette alla Chiesa contemporanea di ricalibrare se stessa e soprattutto la sua missione di annuncio nel tentativo di inglobare le sofferenze dell’uomo di oggi e di avere il coraggio di gridare con chiarezza che l’evangelo annunciato e vissuto conduce alla trasformazione degli uomini e della società.
Rocco Gumina