Genitori, insegnanti, ragazzi: è lì, nel mezzo del più grande dei deserti comunicativi, che prolifera il virus del bullismo, vittime: un adolescente su tre. Chiamarlo così agli educatori non piace: nei centri di ascolto e nelle comunità di recupero – dove approdano gli autori di gesti insensati e crudeli verso i coetanei per brevi percorsi di “riabilitazione” – l’identikit del bullo non esiste. «Ci sono i ragazzi di oggi: confusi, disorientati, abitanti di un Pianeta che non è la realtà», spiegano dal Sermig di Torino, che ogni anno ospita decine di questi casi. «E, sempre più spesso, ci sono le ragazze: aride, insensibili, violente anche fisicamente, proprio come i loro compagni. Senza alcun senso di maternità e di pudore».
Numeri precisi non ce ne sono, ma secondo gli ultimi dati di Telefono Azzurro i casi di violenze in rosa sono in aumento vertiginoso. L’icona della categoria è diventata la sedicenne di Sestri Ponente filmata mentre tirava calci e pugni alla malcapitata di turno nei giardinetti pubblici, la scorsa settimana: aveva voluto lei quel video, da far circolare tramite WhatsApp e su Internet. Alla fine il web l’ha ripagata con la stessa violenza: la pagina Facebook nata apposta per insultarla e raccontare «cosa le farei se l’avessi fra le mani» è stata oscurata. Oltre 20mila le “condivisioni”, accompagnate da minacce irripetibili: quando al male si somma il peggio. Ma la cronaca ha raccontato negli ultimi giorni altri casi incredibili: quello del Vercellese, appunto, con addirittura 4 studentesse coinvolte nella vessazione di una disabile (stavolta in classe, davanti a un’insegnante che non è intervenuta) e quello di Velletri, in cui a picchiare sistematicamente una coetanea erano due sedicenni, di cui una addirittura incinta.
Cosa succede? «Si raccoglie quello che si semina, si raccoglie il vuoto e si semina il disastro, si semina il vento e si raccoglie la tempesta, la tempesta di un vuoto interiore »: il cardinale di Genova e presidente della Cei, Angelo Bagnasco, è andato dritto al nocciolo della questione commentando gli episodi, aggiungendo che la documentazione eccessiva e pruriginosa di questi fatti «non fa bene a nessuno». E qui forse si apre la vera piaga del bullismo 2.0: la violenza “social”, che nasce per essere messa in Rete, fatta vedere, diffusa. O che in Rete si sviluppa, con quel cyberbullismo che la Polizia Postale non esita a definire una vera e propria «emergenza sociale». Vittime, stavolta, 2 adolescenti su 3. «Il problema è la percezione assolutamente distorta che i ragazzi hanno delle nuove tecnologie e del web», spiegano dall’ambulatorio dedicato alle vittime del fenomeno, inaugurato un anno fa al Policlinico Gemelli. In primo luogo manca la consapevolezza della dimensione pubblica di Internet: «Si usano WhatsApp o Facebook alla stregua di diari privati, dimenticando completamente che ciò che circola online (su di sé e sugli altri) è destinato potenzialmente a milioni di persone». Secondo, nel mondo virtuale tutto è filtrato, privato di emozioni e colori: risultato, spesso i bulli non hanno la consapevolezza degli effetti che nella realtà ciò che circola o viene detto e mostrato in Rete può avere.
Già, gli effetti. Che poi sono il nodo reale della questione, il costo sociale che tutti – non solo la scuola – paga e pagherà per il bullismo, in tutte le sue forme. Gli Uffici provinciali e regionali dell’istruzione sono mobilitati, il ministero dell’Interno ha attivato un numero gratuito per le denunce, i progetti di prevenzione nelle scuole si moltiplicano: resta la sensazione che senza una presa in carico comune e coordinata della questione educativa gli episodi di Sestri e Vercelli non faranno che ripetersi, sempre più sconvolgenti.
Fonte. Avvenire
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