Si chiama Lichtgrenze – The SplitscreeenMovie ed è un video di centocinquanta secondi che ripercorre la Berlino di un tempo, lungo l’arteria vitale del muro: le riprese sono state realizzate e montate dal regista Marc Bauder proprio in occasione del venticinquesimo anniversario della caduta del muro di Berlino e sarà proiettato per tre giorni, dal 7 al 9 novembre, lungo il vecchio percorso del muro. Sono centocinquanta secondi che ridanno vita a venticinque anni fa e a quella notte del 1961 in cui il muro fu tirato su. È un piccolo video senza parole perché il Muro è uno solo, e le parole non aggiungono nulla, non servono quasi. Il muro è uno solo: il muro di Berlino.
Ho guardato e riguardato quelle immagini e sono qui a raccontare che quando il muro è caduto, le macchine, i vestiti, il taglio di capelli, gli occhiali, le facce di quelli dell’est erano come fermi al 1961. Quasi trent’anni “non erano passati”: avevano solo ingrigito tutto, case, strade, vestiti, facce, pensieri. È stato costruito per tanti motivi, ma è caduto per uno solo: perché non è possibile vivere in recinti fortificati. Non è possibile vivere con davanti un muro che non ti fa vedere e con un uomo su una torretta che guarda solo lui e decide lui chi passa e chi no. Mi piace che le torrette, nel 1989, non siano state abbattute, e facciano parte dei giardini delle case o siano in mezzo a parchi pubblici in cui le persone corrono e giocano e portano i cani. Mi fa pensare al recinto evangelico, ai prati dove le pecore vogliono andare e per questo entrano ed escono dalla porta e vanno fuori a guardare a mangiare a vivere, anche a perdersi, certo, la vita è così, è rischiosa come la libertà e come l’amore, e per questo, se sei stanco, poi c’è casa, c’è il recinto, e dalla stessa porta da cui sei uscito puoi tornare e riposare. E poi andare di nuovo, e ripartire. Il muro è caduto perché non è più possibile chiudersi dentro un muro, se non a prezzo di diventare la donna del film Goodbye Lenin. Lo ricordate? Campione d’incassi in Germania, spiega come fare quando la storia va avanti ma tu non devi far agitare una donna appena uscita dal coma e che credeva di essere nel giusto quando c’era il muro. Che fai allora? Continui a raccontarle menzogne come si faceva prima.
Ogni tanto ho la forte impressione di parlare con persone che vogliono essere tenute dietro un muro che non c’è più perché non avrebbe mai dovuto esserci. Mi è successo con l’articolo su Halloween e i cattolici, e più ancora con quello sui passi in avanti dell’arcivescovo Nosiglia a proposito degli omosessuali. Capisco che a volte qualcuno abbia la tentazione di volersi far chiudere dietro un muro e che abbia voglia di chiedere cosa deve fare a un uomo su una torretta, a un libro, a un gruppo, a un movimento, lo capisco perché i muri fanno paura, è vero, ma fanno anche tanto identità, fanno tanto specchio.
Chi sono queste persone? Non voglio fare nomi, anche perché io potrei essere uno di loro – e a volte lo sono o lo sono stato. Hanno una caratteristica: che quello che dicono, scrivono, leggono, pregano, amano, vivono, non è tutto sbagliato. Ma non è tutto. Penso a Gesù che era testata d’angolo e poi però la casa ero io, la costruivo io. Perché i muri fanno paura ma fanno anche tanto comodo. Perché le prigioni non sono solo quelle con i muri e il filo spinato e le torrette. Ci sono anche delle prigioni buonissime, piccole, resistentissime, fortificazioni lunghe quanto la nostra voglia di sicurezza. Non sono all’aperto, ma nel nostro gruppo di riferimento, nel nostro quotidiano volere un libro che contenga leggi, sciacquatura di piatti, lunghezza delle vesti, passi da fare, parole da dire. E con quello misurare tutta la nostra vita. E con quello costruire passaggi a livello attraverso cui passa solo chi si fa riconoscere perché sa la parola d’ordine.
Ecco perché è caduto il muro di Berlino, perché la vita non la si passa con i lasciapassare, con le parole d’ordine, ma con la vita nella vita, con la vita lasciata nella vita di chi ci è accanto. Se c’è una porta è per trovare la vita e lasciarcela. Non chiude, ma protegge. Non apre, ma libera. Se c’è un muro è un recinto, è casa, è corpo. Non è da scavalcare. Non è da abbattere. Non è da fortificare. Non è da difendere. C’è. È per me. Quando mi hanno detto: “I cattolici seguono il Catechismo e non l’Oms e la sua pianificazione familiare” mi è venuta in mente la pagina del vangelo in cui Gesù ci rimprovera di riconoscere il tempo metereologico ma di non riconoscere Lui. “Quando vedete una nuvola venire su da ponente, voi dite subito: Viene la pioggia; e così avviene. Quando sentite soffiare lo scirocco, dite: Farà caldo; e così è. Ipocriti, l’aspetto della terra e del cielo sapete riconoscerlo; come mai non sapete riconoscere questo tempo?” (Mt 16,1-3; 5-25-26).
Guardo il muro che cade e penso che voglio riconoscere sempre il segno di quel muro che si fa polvere a picconate. “Voglio solo il catechismo e le sacre scritture” mi diceva un signore a cui parlavo di scienza e di medicina e di psicologia e di dolore e di vita e di omosessuali e di Halloween. Ma può essere il catechismo, anzi esagero, può essere il vangelo, un muro? La parola si è fatta carne e non cemento. La carne la accarezzi, la guardi, la accogli, la sfami, la vivi e la fai vivere. Non può mai essere escludente una parola che si è fatta uomo. Lo ha fatto per poter parlare e vivere e morire con me, con te. Lui non diceva di essere muro con torretta e parola d’ordine. Ma di essere porta di un recinto per poter entrare e uscire. E fare una passeggiata fuori del recinto e dare casa a chi è smarrito.
Di Don Mauro Leonardi