Dodici ore per trovare cibo, acqua, prendere effetti personali dalle case abbandonate e soprattutto per recuperare i corpi di parenti rimasti sotto le macerie e le bombe. Dodici ore di tregua, entrata in vigore dalle sette di questa mattina (fino alle 19 di stasera), in cui il disastro procurato dal lancio di razzi di Hamas e dai bombardamenti israeliani appare in tutta la sua gravità. “Difficile immaginare la quantità di distruzione operata dalla guerra, soprattutto nelle zone più colpite dalle bombe, come il quartiere di Shejaia, nella parte orientale di Gaza City. Macerie dappertutto che ricoprono decine e decine di morti. In queste poche ore di cessate-il-fuoco si cerca di recuperarli per dare loro sepoltura”. La voce di padre Raed Abusahlia, direttore generale di Caritas Jerusalem, s’incrina nel fare la conta “l’ennesima e purtroppo non l’ultima” delle vittime di questa guerra. “Fino a questo momento sono stati rinvenuti 81 corpi che fa salire il bilancio complessivo a circa 1.000 vittime palestinesi. Un numero destinato a crescere nelle prossime ore. Ci sono zone ancora controllate dall’esercito israeliano che non lascia passare mezzi soccorso. Si scava per quanto possibile per ritrovare le persone disperse. Perché è di persone che stiamo parlando, con nomi e cognomi, con famiglia. Non sono numeri, sono persone”.
Queste che stanno trascorrendo sono ore di relativa calma in cui la popolazione della Striscia esce dai rifugi e, per chi ce l’ha ancora, dalle proprie case per acquistare nei mercati cibo, gasolio, acqua. Molti si recano a trovare familiari e parenti per accertarsi che siano tutti vivi e in buone condizioni. “Fra poche ore, tra l’altro, si celebrerà la fine del Ramadan – ricorda padre Abusahlia – con la festa di Id-al-Fitr, che interrompe il digiuno. Ma che festa sarà?”. Il pensiero del direttore di Caritas Jerusalem va soprattutto agli sfollati che riempiono le scuole e le strutture di accoglienza delle Nazioni Unite. “Un numero che cresce ora dopo ora e che, secondo i nostri operatori in servizio a Gaza, supera le 250mila persone. Queste affollano strutture non attrezzate per ospitare così tanta gente, molti sono donne, anziani, bambini, che vanno sfamati, dissetati, vestiti. Ci sono anche malati. Non si sa più dove metterli. Abbiamo aperto, su volontà del Patriarcato latino di Gerusalemme anche le nostre scuole e istituti per accogliere quante più persone possibili”. Caritas Jerusalem ha stimato che per ogni aula scolastica sono accolte circa 100 persone, molte delle quali dormono sui pavimenti essendo prive di materassi e lenzuola.
È una corsa contro il tempo, “a breve torneranno a spararsi e il massacro continuerà” dice con amarezza il sacerdote che pure non nasconde la speranza che “la tregua possa reggere per molte altre ore. Ci sono squadre all’opera per riparare condutture elettriche e di acqua, ma il tempo è poco e non sappiamo cosa riusciranno a fare”. Riparare le condutture allevierà in qualche modo le condizioni igieniche, ma non quelle alimentari. “L’acqua di Gaza non è potabile, e le famiglie devono comprare l’acqua filtrata che costa molto, un euro per 20 litri, cifra enorme per le tasche di un gazawo. Chi ha la fortuna di lavorare porta a casa uno stipendio medio mensile di circa 300 euro”. Ancora peggio per l’energia elettrica che viene erogata solo per pochissime ore al giorno. “Chi possiede un generatore deve acquistare gasolio. Come Caritas Jerusalem ne abbiamo acquistato circa 3mila litri, che abbiamo donato alla chiesa parrocchiale di padre Jorge Hernandez e a quella ortodossa, pagando in totale 6mila dollari”. Prezzi alle stelle dopo che, oltre Israele, anche l’Egitto ha chiuso i suoi valichi, “condannando – denuncia padre Abusahlia – tutta la popolazione di Gaza alla sofferenza. Perché punire tutti i civili di Gaza se l’Egitto ha problemi con Hamas? Cibo e medicinali non entrano quasi più. A Gaza e nei Territori si sentono manifestanti urlare non solo contro Israele ma anche contro il silenzio arabo e l’Egitto”.
La Caritas cerca di rispondere all’emergenza fornendo cibo, gasolio e acqua. “Possiamo fare questo grazie anche a tanti benefattori che inviano le loro piccole offerte”, dice padre Abusahlia, che racconta una piccola storia: quattro bambini di Haifa hanno donato i loro risparmi, l’equivalente di circa 100 euro, rinunciando alle loro vacanze. Una bella storia che si aggiunge alla colletta che oggi e domani, si terrà nelle parrocchie cattoliche di Giordania, Palestina, Israele da devolvere ai bisogni urgenti della popolazione di Gaza. Ma con un occhio al futuro. Sono tanti, infatti, i dubbi su dove torneranno le migliaia di famiglie rimaste senza un tetto. “Serve togliere il blocco, aprire passaggi per le merci oltre che corridoi umanitari. Chi dovrà trattare l’accordo per una tregua o un cessate-il-fuoco duraturo deve tenere presente questa esigenza. Diversamente preparerà il prossimo conflitto”.
Di Daniele Rocchi per Agensir
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