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Cambogia, il vescovo di periferia che vive con i disabili

Olivier Schmitthaeusler racconta i frutti del Giubileo a Phnom Penh, in una comunità risorta dopo la repressione del regime di Pol Pot. Il suo episcopio, un semplice edificio nella capitale cambogiana Phnom Penh, è comunque una residenza che si distingue rispetto alle case dei fedeli, la maggior parte assiepati in capanne o casette di legno.

Per questo Olivier Schmitthaeusler, religioso francese che guida i cattolici a Phnom Pen, ha pensato di ottimizzare lo spazio a sua disposizione. E così la casa del vescovo è diventata casa e laboratorio per otto giovani disabili che nelle ore diurne svolgono un piccolo lavoro artigianale, producendo caramelle al cocco che poi vengono rivendute. «È un’attività che permette loro di sentirsi utili e li integra nella società, contribuendo anche in qualche misura alla loro famiglie», spiega il vescovo a Vatican Insider.
È un’esperienza simbolo, questa, tra i tanti frutti dell’Anno giubilare della misericordia che ha segnato profondamente la piccola comunità dei battezzati in Cambogia (oggi 25mila anime su 15 milioni di abitanti), ricostruita con pazienza a partire dal 1990, definito «anno zero» in cui la fede è sbocciata nuovamente dopo il periodo di repressione del regime dei khmer rossi.
A partire dal 1975, infatti, durante l’era della Kampuchea Democratica di Pol Pot si cercò di di eliminare ogni traccia della religione, e culti come buddismo, cristianesimo e islam furono banditi. Tutti i preti cambogiani e molti membri di ordini religiosi furono uccisi, altri fuggirono all’estero, le chiese furono rase al suolo e le proprietà ecclesiastiche sequestrate. Nel 1976 la cattedrale di Notre Dame a Phnom Penh, che poteva contenere fino a diecimila persone, fu distrutta con la dinamite proprio a simboleggiare le vittoria sull’imperialismo vietnamita e francese, a cui si imputava la costruzione di quell’edificio. Una comunità di battezzati che contava oltre 60mila fedeli fu dispersa e polverizzata e per 15 anni pochi coraggiosi si incontrarono in segreto nelle case per pregare e tenere viva la memoria della fede.

Quei tempi sono ormai lontani e la Chiesa cambogiana oggi è fiorente. Nel vicariato apostolico di Phnom Penh, il vescovo – che appartiene alla congregazione delle Missioni estere di Parigi, che ha dato un contributo decisivo per portare il Vangelo ed edificare la Chiesa nel Siam – vive e promuove le opere di misericordia «come frutto della fede e della preghiera», incoraggiando la cura dei disabili e degli orfani, l’attenzione ai poveri, la custodia delle famiglie divise dall’emigrazione, il dialogo interreligioso.





Accanto alle parole, i fatti. Schmitthaeusler dà l’esempio. «Non abbiamo bisogno di andare nelle periferie – spiega riferendosi all’invito di Papa Francesco – perché ce le abbiamo in casa», racconta. Nella sua piccola curia vescovile, che ospita tre impiegati (un segretario, un amministratore, un fac-totum) lo spazio a disposizione era tanto e la compagnia dei giovani disabili ora riempie e rallegra un ambiente che è fisiologicamente a pori aperti. E così l’«odore delle pecore» pervade locali che altrimenti sarebbero stati al massimo profumati di incenso.
Il 46enne vicario, che dal 2010 è alla guida della comunità, ricorda con entusiasmo il suo impegno pastorale: ha cominciato nel 2001 come parroco in una chiesa con un solo fedele. Qui ha iniziato ad accompagnare i giovani, a battezzare, a riunire i fedeli e le famiglie, a creare asili e scuole, e la comunità pian piano è cresciuta. Quella chiesetta, a 60 km dalla capitale, venne intitolata, dopo un sondaggio con la nuova comunità, a Santa Maria del sorriso, nome scelto ricordando l’episodio di santa Teresina di Lisieux che raccontava di essere stata guarita dalla «Vergine del sorriso».

Il sorriso è tornato tra i fedeli cambogiani, sopravvissuti alla triste epoca dei khmer rossi. È tornato anche grazie a pastori come Yves Ramousse e Emile Destombes, predecessori del vicario a Phnom Penh. Il primo, costretto a lasciare il Paese quando Pol Pot prese il potere, ritornò in Cambogia nel 1983, adoperandosi per la rinascita della Chiesa locale. Destombes ne ha proseguito l’opera di consolidamento, con l’impegno per l’istruzione, l’arrivo di molte congregazioni religiose, l’acquisto di terreni, la nascita di nuove comunità e la costruzione di numerose cappelle.

E, ancor prima di loro, Schmitthaeusler non può che rifarsi a Joseph Chhmar Salas, il vescovo cambogiano che scelse di restare nel paese e fu lasciato morire di fame e di stenti dal regime nel 1977. Ora Salas è sulla via della glorificazione e il suo nome figura tra i 35 preti, religiosi, laici, missionari per i quali è iniziata la causa canonica di riconoscimento del martirio.

Oggi il vicario francese guida una regione ecclesiastica con 45 comunità, alcune piccolissime, con soli cinque battezzati. Negli ultimi anni la comunità cattolica ne ha fatta di strada, fondando scuole, chiese, università, strutture pastorali, e impegnandosi nelle opere sociali, nel campo dello sviluppo, della solidarietà, della sanità, grazie a ben 27 Ong cattoliche. La Chiesa, infatti, manca ancora della personalità giuridica e la forma istituzionale della Ong resta necessaria, fermo restando che «ci si faccia riconoscere come animati dallo spirito del Vangelo di Cristo», specifica il vescovo. «Cristo ci chiama a costruire una cultura della misericordia, a promuovere nella società cambogiana la rivoluzione della misericordia», rimarca Schmitthaeusler. A partire dal Vangelo. A partire dalle quattro mura di un episcopio.




Fonte: www.lastampa.it

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