Finis Mundi

Canonizzati i 44 “martiri della fraternità” in Burundi. Martiri oltre le etnie

La Chiesa del Burundi sta vivendo un fatto inedito: la Causa di Canonizzazione di un primo gruppo di cattolici, sacerdoti e laici, che hanno offerto la loro vita pur di testimoniare l’amore di Cristo che non fa distinzioni. Tra loro due padri saveriani e una laica italiana.

L’intervista a padre Claudio Marano, per anni missionario in Burundi

Per la Chiesa che sta in Burundi è motivo di grande gioia e orgoglio la recente apertura, nella Cattedrale di Bururi, del processo di Canonizzazione di alcuni gruppi di sacerdoti e seminaristi e di una laica, uccisi in diversi periodi tra gli anni ’70 e gli anni ’90. La Causa ha un sottotitolo: “martiri della fraternità” per sottolineare la loro testimonianza controcorrente. Quando infatti nel Paese africano, dopo la proclamazione dell’indipendenza si è acceso un conflitto tra le due etnie tutsi e hutu, conflitto ancora in corso, essi hanno dimostrato che l’amore portato da Cristo supera le divisioni rendendoci tutti fratelli.

Chi sono i 44 cattolici di cui è allo studio il martirio

Era il 17 maggio 1972 quando venne ucciso il padre Michel Kayoya di 38 anni. Sacerdote, poeta e filosofo, attraverso le sue pubblicazioni aveva sempre sostenuto che le differenze etniche più che essere una minaccia sono una ricchezza, un dono reciproco. Arrestato da una banda armata e imprigionato insieme ad una cinquantina di preti e laici, andò verso la morte cantando i salmi e il Magnificat. Al 30 settembre 1995 risale il martirio di due saveriani, padre Ottorino Maule di Gambellara (Vicenza) e padre Aldo Marchiol di Udine e della volontaria laica Catina Gubert di Fiera di Primiero (Trento) che prestava il suo servizio nella missione di Buyengero per la promozione della donna. Il servizio verso i poveri, indipendentemente dal gruppo etnico, costò loro la vita. Infine il 30 aprile 1997 è la data dell’uccisione di quaranta seminaristi di Buta che hanno preferito morire piuttosto che separarsi secondo le etnie. All’ordine di un gruppo di ribelli di dividersi in hutu e tutsi, essi risposero che erano semplicemente seminaristi e si sentivano fratelli. Per questo furono uccisi. Sul luogo della loro sepoltura è sorto ora il Santuario della fraternità, noto a livello internazionale.

I vescovi locali: celebriamo la fraternità cristiana

I vescovi burundesi hanno espresso la loro gioia per aver ricevuto il nulla osta da parte della Congregazione per le Cause dei Santi per l’avvio dell’inchiesta diocesana sul presunto martirio di 44 fratelli e sorelle. In un messaggio scrivono che la loro testimonianza è un “messaggio forte di cui sentiamo di avere tanto bisogno come cristiani. Intendiamo quindi celebrare la fraternità cristiana!” . “Cari fratelli – continuano i presuli – questi sono gli eroi che noi vescovi presentiamo a voi come modelli ispiratori di fraternità”, e invitano i fedeli a seguire le diverse fasi dell’inchiesta con la preghiera e con la gioia.”

Padre Marano: sono state persone coraggiose

Da parte sua la Famiglia Saveriana che collabora con la Chiesa del Burundi per il processo di Canonizzazione ha affermato che con questa decisione la Chiesa locale ha raggiunto la sua maturità, offrendo frutti maturi di santità. Padre Claudio Marano è un missionario italiano che ha vissuto per 30 anni in Burundi sperimentando sulla propria pelle minacce e rischi e condividendo con la gente il dramma della violenza. Confratello dei due padri saveriani che fanno parte dei 44 di cui si occuperà il processo in corso, dice, ai microfoni di Vaticannews, l’importanza di questo avvenimento:

R. – Io penso che sia la prima grande decisione da parte della Chiesa su un problema ancestrale del Burundi, che è un problema etnico tra tutsi e hutu, che ha portato il Paese a ormai sessant’anni di violenze. Queste violenze si chiamano dittature, uccisioni, massacri; si chiamano una guerra durata tredici anni, ecc. Una situazione di violenza che continua anche oggi. Il riconoscere martiri un gran numero di persone della Chiesa che sono state uccise, è la prima grande attestazione che quella Chiesa fa. Perché in Burundi in questi anni sono state ammazzate 500 mila persone, più di un centinaio di sacerdoti, suore, e catechisti, così, soltanto perché erano tutsi o hutu, e soltanto perché erano andati contro le derive dello Stato. Il processo di Canonizzazione è iniziato infatti sotto un titolo: “Martiri della fraternità”.

D. – Certamente non doveva essere facile essere sacerdoti e missionari in questo contesto…

R. – Esattamente: eravamo tutti nella stessa grande barca. Riguardo me, hanno tentato di uccidermi una decina di volte. L’essere presente, testimoniare la pace, il Cristo, è stata una cosa molto difficile per noi, ma entusiasmante. La comunità ci dava la forza di continuare senza tante traversie, nel senso che si viveva giorno per giorno, così con le cose che capitavano.

D. – Lei ha conosciuto personalmente i due saveriani e la volontaria italiana che operavano in Burundi: come li descriverebbe?

R. – Persone di molto coraggio. Naturalmente, come in ogni cordata, c’è sempre qualcuno che è avanti e altri che sono un attimo indietro, ma sono state persone di coraggio che in quel periodo hanno osato denunciare i militari che avevano ucciso un gruppo di giovani, condannati solamente perché – si diceva – avevano rubato delle mucche. E invece le mucche le avevano rubate i militari stessi. I missionari erano lì, presenti in quella grande zona – si chiama Buyengero –, e hanno testimoniato in una predica questo; tanto che poi una sera, sono stati visitati da tre graduati militari che li hanno messi in ginocchio, puntato una pistola in testa e li hanno uccisi. Erano dei miei confratelli, li conoscevo benissimo perché avevo passato degli anni vivendo con loro.

D. – E poi i 40 seminaristi: che fastidio potevano dare loro?

R. – Davano fastidio perchè le etnie hutu e tutsi in quel periodo erano in piena guerra, iniziata nel 1993 e finita nel 2005. In piena guerra si voleva dare probabilmente una lezione alla Chiesa locale che era portata avanti da un vescovo tutsi. I ribelli sono andati nel seminario e hanno messo insieme questi 40 seminaristi e poi hanno chiesto loro di dividersi: i tutsi da una parte e gli hutu dall’altra; loro non hanno voluto e allora li hanno ammazzati tutti e 40.

D. – Ma qual  è la situazione attuale nel Paese?

R. – La situazione del Burundi oggi è che un presidente hutu che è andato al potere, ha tolto la Costituzione nella quale si diceva che la forza militare, la politica e l’amministrazione dovevano viaggiare su un 50 percento hutu e un 50 tutsi, per dare la possibilità al Paese di uscire da queste divisioni. Il presidente attuale ha tolto questa Costituzione ed è quindi potuto andare avanti facendosi eleggere tre volte al contrario di come stabilito dalla Costituzione, ovvero per un massimo di due mandati. C’è stata quindi una risposta violenta, con più di 500 mila persone che sono fuggite. Ci sono stati più di duemila morti. Le prigioni sono piene di gente… Il Burundi oggi rifiuta gli aiuti e gli interventi dei Paesi occidentali. E’ stata mandata via anche una parte dell’Agenzia Onu, specialmente quella sui diritti dell’uomo. E quindi la gente del Burundi è diventata vittima di fame, di denutrizione ecc. Oggi si pensa che in Burundi una persona su quattro muore di fame.

D. – Il messaggio offerto da questi 44 cattolici è dunque molto importante in questo contesto…

R. – Il comunicato scritto dai vescovi dice: “Cari fratelli, questi sono gli eroi che noi vescovi presentiamo a voi come modelli ispiratori di fraternità. Portate con voi le loro immagini, leggetene la vita per imitarli”. È il primo gruppo di presunti martiri che presentiamo alla Chiesa universale, perché li dichiari martiri e perchè vengano indicati a noi come modelli di cristiani e fratelli”. Ci saranno poi altri gruppi di martiri che saranno presentati alla Chiesa universale come candidati alla beatificazione e alla santificazione. 

Di Adriana Masotti per Vaticannews.va

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