Sull’origine del Cantico di frate Sole di san Francesco possediamo due versioni molto diverse, entrambe tramandate dalla Compilazione di Assisi , una raccolta delle memorie di frate Leone, confessore, compagno e segretario del santo negli ultimi anni della sua vita.
La prima versione racconta di un Francesco sereno, mosso da un amore contemplativo per la creazione e attento a rispettare tutte le creature di Dio, dalle più piccole alle più grandi: quando cammina fa attenzione a non calpestare in modo maldestro le pietre, raccomanda al frate incaricato della raccolta della legna di non tagliare completamente gli alberi e consiglia al frate ortolano di tenere un piccolo giardino dove far nascere erbe odorose e fiori. È in tale contesto di esaltazione delle meraviglie del mondo che Francesco, poco prima di morire, avrebbe scritto le lodi al Signore per le sue creature .
La seconda versione, invece, ci restituisce un Francesco tormentato e sofferente: il santo si trova a San Damiano, è gravemente malato e quasi del tutto cieco, trascorre i suoi giorni al buio in una cella infestata dai topi, che sia lui sia i suoi compagni credono inviati dal demonio per disturbarlo. Una notte, dopo aver invocato il Signore affinché lo renda capace di sopportare con pazienza la sua condizione, viene rinfrancato dalla promessa del regno dei cieli. Il mattino successivo comunica così ai compagni un componimento pensato per essere cantato, come è confermato dal manoscritto 338 della Biblioteca comunale di Assisi, in cui sono state lasciate tre righe libere per la melodia. Nel suo ultimo libro tradotto in italiano ( Il Cantico di frate Sole. Francesco d’Assisi riconciliato , traduzione di Paolo Canali, introduzione di Attilio Bartoli Langeli, Milano, Edizioni Biblioteca Francescana, 2015, pagine 121, euro 16), il medievista francese Jacques Dalarun propende per la seconda versione: il canto servirebbe soprattutto come terapia per alleviare le sofferenze nel momento del congedo dalla vita terrena .
La traduzione italiana del volume non poteva essere pubblicata in un momento più propizio, in cui il Cantico è oggetto di un rinnovato interesse grazie all’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco. È lo stesso Dalarun a riconoscere che «a otto secoli di distanza, i due Francesco parlano della stessa cosa». L’a u t o re si cimenta con il commento del testo quasi parola per parola, integrandolo costantemente con altre fonti francescane e corredandolo con un ricco apparato iconografico. Il commento si sviluppa in tre atti, come un dramma in cui strofa dopo strofa entrano in scena le diverse creature in un movimento dall’alto verso il basso. Dalarun sottolinea che il poema umbro fa riferimento non solo a fonti bibliche, soprattutto il Cantico dei tre fanciulli nella fornace del libro di Daniele, il salmo 148 e l’Apocalisse, ma anche alle conoscenze scientifiche dell’epoca diffuse a livello popolare. Se la disposizione dei corpi celesti (il sole, la luna e le stelle) segue il modello di san Paolo nella prima lettera ai Corinzi (15, 40-41), l’articolazione del mondo sublunare nei quattro elementi (aria, acqua, fuoco e terra) riprende la fisica medievale di derivazione aristotelica. Le entità del mondo celeste e di quello sublunare vengono personificate e a ognuna sono attribuite virtù proprie, legate al genere di appartenenza: l’acqua, femminile, è «multo utile et humile e pretiosa e casta», mentre il fuoco, maschile, è «bello et iocundo e robustoso e forte». Se si confronta il Cantico con l’altro scritto di Francesco dedicato alle Lodi di Dio altissimo , giuntoci in forma autografa, si nota che le caratteristiche delle creature ripropongono quelle del Creatore .
Ai due estremi della cosmogonia del Cantico vi sono, da una parte, «messor lo frate Sole», che come ricorda la Compilazione di Assisi è la più bella tra tutte le creature e la più simile a Dio, dall’altra, «sora nostra matre Terra», che costituisce il fondamento di tutta la costruzione di Francesco. È proprio la terra lo strumento di cui il santo di Assisi si serve, secondo Dalarun, per operare un rovesciamento dei valori sociali dominanti. Mentre nella società bassomedievale i rapporti di potere dipendono fondamentalmente dal possesso della terra e dal suo uso, la rivoluzione francescana consiste nell’affermare che l’uomo non deve dominare e sfruttare la terra, ma che è essa stessa che «ci sustenta e governa». Oltre a essere sorella, la terra è una buona madre che si prende cura amorevolmente dei propri figli, offrendo loro il nutrimento necessario.
Questa considerazione non prelude, però, a una celebrazione della natura in senso moderno, termine che del resto non compare mai negli scritti di Francesco . A essere esaltata per Dalarun non è la natura in sé, ma la natura in quanto creazione: la fraternità universale che lega tutte le cose esistenti deriva dalla loro subordinazione a un unico principio creatore, cioè Dio. Mentre non vi sono dubbi che il destinatario delle lodi sia il Creatore, non è altrettanto semplice individuare il soggetto da cui proviene il canto. Non sembra essere l’uomo, come testimoniano due particolari: anzitutto, la prima strofa, in cui si sostiene che egli non è degno di nominare l’Altissimo, secondo una formula tipica della teologia negativa; quindi, l’invocazione «Laudato sie, mi’ Signore», che è impersonale. Non sono nemmeno le creature a tessere l’elogio di Dio: secondo l’autore, i “per” e i “cum” di cui è disseminato il testo possiederebbero un valore eminentemente strumentale. Il Signore viene lodato “per mezzo” delle sue creature. Nell’interpretazione di Dalarun, il Cantico è dunque il «canto di Dio, potenza estroversa di vita, che crea il mondo nella circolarità di una benedizione che attraversa e trascina con sé tutte le creature». È così che l’universo pacificato e solidale cantato da Francesco contiene anche un’ammonizione morale: ci ricorda che quando l’uomo rifiuta la fraternità tra i viventi e dimentica la misericordia mette a rischio l’armonia dell’intera creazione.
Redazione Papaboys ( Fonte Giovanni Cerro – Osservatore Romano)
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