L’arcivescovo caldeo di Kirkuk, nel nord iracheno, racconta alla fondazione pontificia come in seguito alla conquista di alcune aree del paese da parte dello Stato islamico dell’Iraq e del levante (Isis) sia aumentata la possibilità che altri fedeli decidano di emigrare. Dall’inizio della guerra nel 2003, centinaia di migliaia di cristiani hanno abbandonato il paese, lasciando la società irachena priva di una componente essenziale. Sebbene piccola minoranza, la comunità cristiana ha sempre vantato un’istruzione ed un livello culturale nettamente superiori alla media nazionale. «Undici anni fa rappresentavamo appena il 3% della popolazione – fa notare il presule – eppure oltre il 40% dei medici specializzati era composto da cristiani. Così come la gran parte degli intellettuali, degli scrittori e dei giornalisti». Merito dell’educazione diffusa dalle tante scuole gestite dalla Chiesa e di una mentalità cristiana tradizionalmente aperta e multilingue. «Ovviamente molto del nostro dinamismo è andato perduto a causa del massiccio esodo di fedeli», nota l’arcivescovo.
L’apertura verso l’occidente e l’erronea identificazione tra la minoranza e i paesi “infedeli” è senza dubbio uno dei motivi che pongono i cristiani nel mirino egli estremisti. Per monsignor Yousif Mirkis l’antagonismo tra occidente e mondo islamico ripropone oggi la stessa divisione in blocchi della guerra fredda. «Assistiamo ad una guerra tra la modernità e le società fortemente legate al passato». Il presule sottolinea come il nome stesso scelto dai salafiti – in arabo “pii antenati” – denoti il desiderio di un ritorno alla società del VII secolo.
I cristiani non rappresentano l’unico nemico di chi auspica un tale ritorno al passato. «È l’intera comunità intellettuale ad essere sotto attacco, élite musulmane incluse – afferma l’arcivescovo – pensate che dall’inizio del 2013 sono stati uccisi ben 180 professori universitari. Con conseguenze disastrose per l’intera società irachena». La soluzione di una situazione tanto drammatica può essere soltanto un maggiore dialogo ed una più ampia diffusione della cultura. «È l’unico antidoto al fanatismo che oggi minaccia tutto il mondo islamico, non soltanto la nostra comunità».
Monsignor Mirkis continua a sperare in un futuro dei cristiani in Iraq. Tuttavia confessa che non è facile trovare le parole per infondere nei fedeli la stessa speranza, specie nei più giovani. «Cosa dovrei dire a chi mi chiede una ragione per rimanere? – si chiede – Negli ultimi dieci anni abbiamo perso un vescovo e sei sacerdoti e migliaia di fedeli sono morti durante gli attacchi. Posso comprendere pienamente perché i cristiani decidono di partire». di Marta Petrosillo (Aiuto alla Chiesa che soffre)
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