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Carcere, laurearsi vale la pena

carcere_350Non lascia trasparire l’emozione, si mostra sicuro di sé mentre espone la sua tesi, sul brigantaggio. «Per lui, non abituato a stare fuori, la tensione dovrebbe essere doppia» diceva un amico. Bruno C., da ieri dottore in Scienze politiche col voto di 105, s’è laureato al Campus Einaudi in mezzo agli studenti “liberi”. Dopo la discussione è tornato in carcere. È potuto uscire con un permesso. «Avrò una borsa lavoro dalla Compagnia di San Paolo – dice – e pensare che mi hanno arrestato per una rapina in una filiale della loro banca».

Cinque suoi compagni si laureano domani, ma nell’istituto di pena. C’è chi porta come tesi la recidiva, chi le frodi ai creditori, chi il diritto sportivo. Sono gli studenti del polo universitario del carcere Lorusso e Cutugno di Torino, una realtà d’eccellenza nel settore e unica nel suo genere in Italia. Qui i professori universitari tengono veri e propri corsi dietro le sbarre, permettendo così ai detenuti di una sezione speciale di frequentare le lezioni. Ci sono i corsi di laurea in Scienze Politiche e Giurisprudenza. Sono 24 gli studenti iscritti, tra di loro anche ergastolani: ci sono detenuti che, per frequentare i corsi, chiedono il trasferimento a Torino.

Studiano per battere la noia del troppo tempo libero, migliorarsi, pensare a un futuro. Daniele ha fatto la tesi sulla recidiva: «Tra chi studia in carcere è quasi zero. Studiare ci fa riabilitare, per questo mi sono iscritto all’università». Daniele, un passato da bandito, è dentro da 4 anni e ne deve scontare altri dieci: «Ho tempo per tre lauree», scherza. E c’è chi, in effetti, non s’accontenta del primo “pezzo di carta”. È il caso d’un giovane nigeriano, arrestato a Genova per traffico di droga. Prima del carcere studiava Giurisprudenza. A Torino ha scritto la tesi e s’è laureato ad aprile sui diritti umani in Africa. Ora vuole iscriversi a Matematica. Il sogno del Polo universitario, coordinato dal professor Franco Prina, è di portare in carcere nuovi corsi di laurea. A dire il vero c’è già un carcerato che studia al Politecnico, ma grazie ai permessi segue le lezioni fuori.

Bruno aveva scarpe eleganti e una semplice polo. Ad ascoltarlo c’erano volontari del servizio civile, educatori, un’amica conosciuta per corrispondenza mentre scontava un’altra condanna. In tutto ha fatto oltre vent’anni dentro: gli mancano solo otto mesi. C’è chi entra in carcere magari con la terza media e ne esce dottore. Come Marino Sacchetti. Ieri era ad ascoltare Bruno. Lui la laurea l’ha presa un anno fa, in Diritto penale internazionale, poco dopo il suo fine pena. È stato dentro per 14 anni: «Mi accusano di tentato triplice omicidio di agenti di polizia e trasporto di armi, nella vicenda dei Legionari di Brenno» dice, ma lui si proclama innocente. Anzi, “non colpevole”. Dieci anni li ha passati in massima sicurezza, insieme ai brigatisti. Grazie all’università, ha svolto un tirocinio nell’avvocatura del Comune di Torino e ora lavora per una cooperativa.

Alla laurea di Bruno c’era anche Shpend Qerimi, affidato ai servizi sociali, che proprio ieri ha sostenuto un esame: Sociologia della devianza. È uscito a novembre, dopo sette anni scontati per traffico internazionale di droga. «In carcere tutti siamo innocenti», sorride. Spiega che per lui, studiare, non è una riabilitazione: «Io ero inserito nella società, lavoravo come venditore d’auto. Ho studiato per tenermi occupato e rendermi migliore». Adesso è impegnatissimo. Oltre allo studio – gli mancano due esami – lavora al mattino come traduttore in Comune e al pomeriggio insegna rugby ai bambini: in carcere era il capitano della squadra.

Anche a Padova e Parma si può fare. La realtà di Torino, che offre dietro le sbarre un’offerta formativa strutturata, con seminari e cicli di lezioni che impegnano 40 docenti, è nata nel 1998. Finora 30 detenuti sono arrivati alla laurea. In tutta Italia i carcerati iscritti all’università, quasi tutti uomini, sono circa 300. Si tratta di pochi eletti se si tiene conto dei numeri della popolazione carceraria: questo dipende da ragioni economiche e organizzative. Ci sono carceri, come quello di Padova e Parma, dove ci si può laureare per esempio in Ingegneria, Psicologia e Agraria. In alcune realtà ai carcerati è offerta la possibilità di studiare, dando gli esami da non frequentante, o seguendo registrazioni delle lezioni. L’accesso ai siti web universitari è una delle richieste più insistenti dei carcerati-studenti. Se studiare è già un percorso a ostacoli per gli studenti di fuori, per chi sta dentro tra sovraffollamento e risorse sempre al lumicino lo è ancor di più.

Di Fabrizio Assandri per Avvenire

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