Il prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli parla della sua esperienza in Iraq, prima come nunzio e poi come inviato del Papa.
“È nelle intenzioni di Papa Francesco andare in Iraq e senz’altro credo che lo farà. Anche se il momento opportuno adesso non posso prevederlo perché tutti comprendono che questo è un tempo ancora molto problematico per il Paese”. Parola del card. Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, che in occasione dell’uscita del suo libro La chiesa in Iraq (ed. Libreria Editrice Vaticana) ha ripercorso le sue recenti missioni nel Paese, a nome del Santo Padre.
Il card. Filoni ha confermato che la frammentazione etnica e religiosa sta provocando profonde divisioni nel Paese. Ricorda che la zona meridionale è sciita e per questo “non si può pensare che l’Iran possa rinunciare all’influenza di queste terre”. Secondo il porporato, “è come se gli ebrei rinunciassero a Gerusalemme o i cattolici a Roma. Andando più su ci sono zone miste sunnite e sciite. Nella parte Occidentale troviamo, invece, antiche tribù sunnite e a Est e a Nord la presenza dei curdi ma anche dei cristiani. C’è una realtà molto composita e in questo mosaico se non ci si mette d’accordo gli uni con gli altri non si avrà mai la pace che è la condizione fondamentale per lo sviluppo del Paese”.
Nunzio apostolico in Iraq dal 2001 al 2006, il card. Filoni ricorda di esser rimasto nel Paese anche durante i bombardamenti della Seconda guerra del golfo.
“Devo dire che sia nella Prima sia nella Seconda guerra del golfo i nunzi sono rimasti al loro posto e ciò diede enorme credibilità al ruolo della Chiesa. Il popolo iracheno vide che la comunità cattolica, nonostante fosse piccola e minoritaria, non aveva comportamenti contradditori con un Occidente che poteva essere definito cristiano e un Medio Oriente invece musulmano”.
Fondamentale fu l’assistenza offerta dalla Chiesa in quei momenti. “Avevamo dato a disposizione tutte le chiese che la sera erano aperte come anche il seminario e la gente veniva con i materassini a trascorrervi la notte per paura dei bombardamenti – afferma -. Tutti i luoghi di culto erano aperti e ospitavano sia i cristiani, sia i musulmani. Le stesse piccole istituzioni assistenziali cattoliche, penso al piccolo Ospedale san Raffaele, sono rimaste sempre aperte. Non avevano la possibilità di curare i feriti, ma erano presi d’assalto soprattutto dalle partorienti”.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Zenit