Nell’omelia, il porporato ha portato il saluto di Papa Francesco, trasmettendo il suo incoraggiamento: “L’anno scorso, il 27 giugno – ha detto – tutto era già pronto per accoglierlo, ma un’indisposizione gli impedì di realizzare l’incontro. Ma, come dice il proverbio latino: “Quod differtur non aufertur” (ciò che viene rimandato non viene tolto), per cui speriamo che questo incontro, prima o dopo, possa aver luogo”.
Il cardinale Parolin ha quindi auspicato che “il cammino iniziato da poco meno di un mese della nuova Fondazione che gestirà il Policlinico Gemelli si risolva in una sempre maggiore fedeltà alla volontà di Dio e si traduca nell’impegno di trattare tutti con quel rispetto, quell’accoglienza e quella delicatezza che esige la loro dignità di persone umane, create ad immagine e somiglianza di Dio, ed è pratica realizzazione di quella fraternità che deve caratterizzare la comunità dei discepoli di Gesù, nel loro sforzo di vivere quotidianamente il Vangelo. Nonostante le problematiche culturali e sociali, punto fermo della comunità cristiana in ambito sanitario è una forma di pensiero, che consideri l’uomo nella sua totalità. Niente può rivelarsi tanto disastroso per la fede e per la cultura sanitaria e medica, quanto il perdere di vista la totalità della persona”.
“Esperienze anche recenti – ha proseguito – dimostrano che modalità di approccio sanitario che muovono da premesse mutuate da visioni antropologiche diverse da quella cristiana o da esigenze di tipo economico, organizzativo e manageriali, per facilitare l’incontro con l’uomo dei nostri giorni, alla fine sono risultate inadeguate. Come insegna la parabola del seminatore (cfr Mc 4,3), se le buone intenzioni non sono evangelicamente ben radicate, quasi sempre vengono soffocate dalle istanze culturali egemoniche o da interessi e compromessi che non hanno niente a che vedere con le esigenze del regno di Dio sulla terra”.
“L’immagine del Buon Samaritano (Lc 10,31ss), comunemente associata alla professione medica e alle professioni sanitarie in genere, rimane a tutt’oggi un riferimento piuttosto estrinseco e del tutto personale, con tutte le implicanze di carattere spirituale e morale del caso. Ne è prova il fatto che di fronte alle crescenti responsabilità etiche, la cultura medica dei nostri giorni, figlia di un’idea di scienza e di progresso sempre buono e positivo e che rivendica assoluta libertà (cfr. Spe Salvi 16-18), tende a trasformare il medico sempre più in un tecnico che offre soluzioni al di fuori da ogni possibile orizzonte di senso e di visione dell’uomo”.
“Per accogliere la forza di cui sono portatori i deboli (Salvifici Doloris 31) c’è bisogno di una profonda conversione e di un cambiamento di mentalità che comincia con il coniugare insieme il bisogno di salute dell’uomo con quello della sua salvezza. L’esperienza di oltre cinquant’anni di attività sanitaria del Policlinico “Gemelli” si fonda sul considerare il malato “soggetto attivo e responsabile dell’opera di evangelizzazione e di salvezza” (Christifideles laici n. 54). La promozione dei valori spirituali apre all’accettazione del limite e alla composizione dei conflitti e alla giusta ed equilibrata complementarità. Soprattutto oggi c’è bisogno di riscoprire quanto sia salutare anche per l’economia e per i modelli organizzativi sociali e sanitari ispirarsi alla solidarietà insegnataci da Gesù nella parabola del Buon Samaritano (cfr. Salvifici Doloris 29)”.
“La centralità del malato ha una valenza anche sociale ed economica e richiede che si investano risorse per perseguire i valori riassunti nel comandamento dell’amore del prossimo. Con la sua testimonianza di vita il malato allarga lo spazio di Dio e per Dio nella storia, annuncia il Vangelo in modo credibile e autentico, invoglia a rinnovare la scelta per Cristo sofferente e ad amare la propria vita, fino ad abbracciare tutti i dolori dell’uomo”.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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