R. – Ha detto bene, proprio il cambio dell’impostazione: con “Mare Nostrum” andavamo ad aiutare dovunque questi poveri migranti si trovassero, invece questa operazione “Triton” è per difendere i confini, una gran bella differenza, no? Quella delle migrazioni non è una cosa semplice. Migliaia di persone lasciano il proprio Paese mica perché si divertono, ma lo fanno per necessità, per fuggire da situazioni di pericolo e di indigenza. Sia ben presente anche ciò che succede in questo momento in Siria, in Iraq, in Etiopia, ma ci sarebbe una lista di Paesi che non finisce mai… Le partenze senza il piano di Mare nostrum avrebbero causato quindi molte più morti di quelle che purtroppo, circa 3000, sono avvenute durante l’anno. Quanto a “Mare Nostrum” se ben ricordo, è nato dopo il 3 ottobre di due anni fa, quando successe quella disgrazia dove morirono 368 persone. Io ho la gioia che proprio nell’anniversario sono andato a Lampedusa, e loro mi hanno dato una croce fatta col legno delle barche affondate. Una croce che porto sempre con me, invece delle solite croci episcopali, perché questo è un ricordo che mi fa pensare a queste tragedie e mi fa essere quasi più buono: tante volte infatti ci dimentichiamo che tante persone vivono in maniera dignitosa pur nell’enorme difficoltà che incontrano nella vita.
D. – Che cosa dire quindi a coloro che pensano che “Mare Nostrum” abbia incentivato gli arrivi e a quelli che vedono l’immigrazione sempre come un’emergenza in qualche modo da contrastare?
R. – Si può anche pensare che sia vero, perché queste navi andavano a prenderli anche oltre il confine, nelle acque internazionali, molte volte vicino ai Paesi da dove questi migranti partivano e quindi questi si sentivano quasi incentivati… Va bene, ma questo è un aspetto della realtà. Però io trovo di una cattiveria e di una insensibilità unica fare questo ragionamento: questi poveracci si trovano a nord dell’Africa, sono arrivati lì dopo aver – molte volte – attraversato il deserto. Chissà quanti ne sono morti nel cercare di arrivare in Libia, perché di solito dalla Libia partono. Arrivano in Libia dove vengono messi in certi campi che – io credo – le nostre stalle in confronto siano migliori e più igieniche… Ora se, invece di lasciarli di nuovo nel pericolo di morire nel Mediterraneo, li aiutiamo e li cerchiamo di salvarli… Certo in Italia – io parlo dell’Italia, ma come potrei parlare della Spagna o come potrei parlare della Grecia, al confine sud dell’Europa – quelli che sono contrari a questa politica di Mare Nostrum dicono: “abbiamo anche noi problemi”… Però è un fenomeno, quello dell’immigrazione, che non si fermerà mai: finché ci sarà un Paese più ricco di un altro, questi poveracci lasceranno il proprio Paese per cercare di vivere in maniera migliore. Non solo: il più delle volte, ultimamente, si tratta di rifugiati, di persone cioè che scappano da situazioni di pericolo per la loro vita. Per cui, anche se qualcuno può pensare questo, è brutto. E’ brutto dire: “Che ci importa a noi!”. Non solo non è cristiano, ma credo non sia nemmeno umano.
D. – Ci dovrebbe essere, dunque, per risolvere questo problema dell’immigrazione – che lei ha detto essere complesso – un impegno a tutto campo: politico, diplomatico…
R. – Tempo addietro, di fronte a questo fenomeno che aumentava, i Paesi europei avevano deciso di dare lo 0,7 per cento del proprio Pil per aiutare queste nazioni povere, anche per scoraggiare gli abitanti di questi poveri Paesi a lasciare la loro patria per venire qui. Ebbene, di tutti i Paesi che hanno promesso, credo che solo due Paesi – due Paesi scandinavi – hanno osservato questo impegno… Certo è un problema quello dell’immigrazione, ma sono un problema anche questi poveracci che sono molto più poveri e vivono in condizioni molto più infelici di quelli che ci sono in Europa. E’ un fenomeno che continuerà ed è quindi importante sensibilizzare la gente. Io ho sentito alcuni politici dire, vedendo la gente che arrivava con queste barche – tra l’altro non si sa da dove vengono, possono venire dalla Siria, possono venire dall’Iraq, possono venire dalla Libia…- ma ritornino ai loro Paesi!”. Come si fa a dire così? Si può dire ad uno che scappa dall’Iraq, torna nel tuo Paese? Sarebbe condannarlo a morte, no?
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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