Da lunedì prossimo la Pontificia Università Urbaniana ospita il VII Congresso Mondiale per la pastorale dei migranti. “Cooperazione e sviluppo nella pastorale delle migrazioni” è il tema scelto per l’incontro, che vedrà riuniti quasi trecento esperti, provenienti da 93 Paesi dei 5 Continenti. I lavori si concluderanno il 21 novembre con l’Udienza dei partecipanti con Papa Francesco. Il Congresso considererà dunque il fenomeno dei popoli in movimento soprattutto come una risorsa, come spiega il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti e gli itineranti, al microfono di Fabio Colagrande per la Radio Vaticana:
R. – Quello delle migrazioni è un fenomeno complesso. I migranti arrivano carichi di potenzialità e, come tutti i fenomeni umani, anche con le loro problematiche. Ma sicuramente, se gestiti nel modo giusto, i flussi migratori possono generare nuove forme di sviluppo. Pensiamo, ad esempio, alla possibilità di una cooperazione tra diverse culture, Governi, Chiese; sono i migranti che la rendono possibile. E la cooperazione è la base per lo sviluppo di una società. Con l’arrivo di un migrante arriva anche una nuova forza creativa oltre che produttiva. Questo genera ricchezza per il Paese che lo accoglie. Allo stesso tempo si offre al migrante un’opportunità di formazione, di lavoro e anche di retribuzione che diventa un arricchimento per sé ma anche per il Paese di origine. Diventa quindi un guadagno per tutti. Certo, le migrazioni obbligano ad affrontare in modo serio diverse problematiche che diventano delle sfide per chi le deve gestire. Parliamo di problematiche di natura sociale, economica, culturale e anche religiosa. E’ chiaro che la mobilità umana, se gestita nel modo sbagliato, diventa terreno fertile per la criminalità, per gravi crimini contro i diritti umani e l’emersione di forme latenti di xenofobia. Pur essendo consapevoli degli aspetti negativi e difficili legati al fenomeno migratorio, vogliamo sottolineare le sue potenzialità.
D. – Quali sono le potenzialità che la ‘diaspora’ di milioni di persone può offrire al progresso delle collettività?
R. – Le potenzialità che la diaspora offre allo sviluppo della società sono numerose. Pensiamo, ad esempio, a come il fenomeno della globalizzazione riesca ad arricchire molti Paese e ad offrire opportunità per una vita più dignitosa. Sono tantissime le persone che lasciano casa e famiglia per andare in Paesi più sviluppati a cercare un lavoro che possa offrire una prospettiva di vita migliore; un lavoro che permetta di inviare soldi nella terra di origine per offrire un futuro a chi è rimasto a casa. Inoltre le migrazioni vanno intese anche in un contesto di universalità della Chiesa, universalità che deve però, allo stesso tempo, tener presenti e rispettare le particolarità e le necessità della Chiesa locale.
D. – Il congresso si soffermerà in particolare sulla ‘famiglia migrante’. E’ una prospettiva emersa anche al recente sinodo straordinario che sollecita nuove risposte pastorali?
R. – Certamente la famiglia, ora più che mai al centro dell’attenzione della Chiesa, occupa un ruolo di fondamentale importanza nel contesto della diaspora. La famiglia è la fonte della vita, della cultura, dei valori umani ed è necessaria un’attenta presenza pastorale in grado di garantirle un sostegno concreto. Un sostegno in grado di curare le ferite presenti nel cuore di chi ha dovuto lasciare la propria terra, ma anche un sostegno che offra la giusta integrazione del nucleo famigliare all’interno della comunità in cui approda. La cura e l’assistenza della famiglia migrante deve arrivare sia dalla cooperazione tra il Paese di origine e quello di arrivo ma anche da una forte collaborazione tra la Chiesa di origine e quella di arrivo. E’ dalla famiglia che prende forma la società di oggi ed è alla famiglia che bisogna guardare.
D. – Una tavola rotonda sarà dedicata al ruolo delle donne migranti. Perché questa scelta?
R. – Una scelta arrivata in modo del tutto naturale guardando ai più recenti dati sulle migrazioni: pensiamo che ben il 49% dei migranti è composto da donne. Allora capiamo bene che lo stesso fenomeno migratorio sta cambiando; nel corso degli ultimi anni le donne hanno lasciato sempre più spesso il Paese di origine per andare a cercare di persona una vita migliore da offrire alla propria famiglia. Mentre una volta le donne si muovevano solo per ricongiungersi con i mariti, oggi diventano parte attiva dello sviluppo globale; sono, sempre di più, le protagoniste del cambiamento. Le donne si spostano in cerca di occupazione, pensano a come sostenere, anche economicamente, i figli e la famiglia. Se ci pensiamo, molti lavori oggi, anche nella nostra società, sono svolti proprio da donne arrivate da altri Paesi. La parola scelta volutamente per il nostro Congresso è “partner” nel senso che le donne sono in grado di cambiare e trasformare sia il volto della cooperazione sia quello dello sviluppo. Certo, non dobbiamo sottovalutare i pericoli che questa fascia migratoria deve affrontare: pensiamo, ad esempio, che spesso le donne lasciano i figli al Paese di origine, figli anche piccoli, in fase di crescita; inoltre spesso le donne che migrano finiscono nelle reti della criminalità. Tutto questo va tenuto in considerazione e anche di questo si parlerà durante il congresso.
D. – La migrazione giovanile è in aumento nel mondo. E’ un fenomeno che preoccupa la Chiesa?
R. – Parlando dei giovani maggiorenni, il fenomeno della migrazione non dev’essere visto come un “problema” che varca i confini del nostro o di altri Paesi. I giovani migranti si portano appresso un potenziale enorme, indispensabile per costruire le basi solide di una società migliore, più produttiva e, senza dubbio, più fraterna. Ogni giovane che lascia la sua Terra di origine, porta con sé un bagaglio di conoscenze indispensabile per una stretta cooperazione tra i diversi Paesi. Culture, conoscenze economiche e anche religiose, si fondono in un incontro fondamentale per la crescita di una società. Quindi i giovani migranti sono una risorsa preziosa. Certo, bisogna riconoscere che l’adolescenza è un periodo della vita molto complesso, ricco di sogni, desideri e delusioni. I ragazzi che lasciano i loro Paesi in cerca di un futuro migliore devono ricevere attenzioni particolari da parte di chi li accoglie perché arrivano carichi di tutti i loro bisogni e le loro vulnerabilità, tipiche dell’età giovanile. E’ necessario che l’intera società tenga conto di questo. La Chiesa cattolica è impegnata in prima persona nella tutela dei giovani migranti; si batte perché i Governi sostengano i ragazzi in arrivo e offrano loro la possibilità di integrarsi al meglio all’interno di una comunità, così da sentirsi accolti per quello che sono. In questo periodo di adattamento, in cui il ragazzo si trova a vivere tra due differenti culture, c’è il rischio di una crisi d’identità ma anche il pericolo dell’indebolimento della fede. Anche per questo, è importante che il giovane migrante mantenga i rapporti con la famiglia di origine e in questo contesto la Chiesa vuole offrire un aiuto pastorale concreto.
D. – Quanto resta da fare sul piano pastorale per tutelare la dignità dei migranti?
R. – Sul piano pastorale c’è ancora molto da fare perché il fenomeno migratorio è in continua crescita e in continuo cambiamento. Uno degli obiettivi principali che la Chiesa si propone di raggiungere è quello della sensibilizzazione dei fedeli e dell’intera società: tutti devono ritenersi attori protagonisti in questo nuovo scenario migratorio che di giorno in giorno si sviluppa e si delinea in modo chiaro e complesso allo stesso tempo. L’accompagnamento è fondamentale per chi si trova solo in un Paese straniero e la Chiesa dev’essere costantemente quella madre accogliente che abbraccia tutti soprattutto nei momenti di difficoltà.