Da una parte ci sono gli idoli che costruiamo a nostra immagine, che pretendiamo e nei quali ci riflettiamo egoisticamente come in uno specchio; dall’altra ci sono i figli, che sono un dono, sono altro da noi e proprio per questo ci stupiscono e ci mettono alla prova con le loro azioni, con le loro domande. E dopo aver acquisito questa disposizione ad accogliere e a stupirsi (per nulla scontata), è al momento delle domande che i genitori mostrano davvero la loro capacità di essere padri e madri: sulle loro risposte, infatti, i figli costruiranno il racconto della loro vita. Perché è il racconto che ci insegna a vivere. Perché il racconto di quelle risposte si inserirà nel racconto della vita del figlio (della nostra vita). Perché… Perché il racconto è la forma pedagogica con la quale Dio ci indica la strada della fede; con la quale Gesù ci mostra la realtà del Regno. «Perché i figli (ciò che siamo stati capaci di accogliere come dono) sono il racconto della nostra vita; e il figlio, come fu per Abramo, per Isacco, per Elisabetta e per Maria, è colui attraverso il quale Dio visita la nostra storia».
Padre Jean Pierre Sonnet è un gesuita francese, teologo, scrittore e poeta. Insegna Esegesi dell’Antico testamento alla Gregoriana. il suo ultimo libro Generare è narrare (Vita e pensiero, pp. 166, euro 16) – che viene presentato dall’autore e da Silvano Petrosino giovedì 11 dicembre alle ore 16 alla Libreria della Cattolica in Largo Gemelli 1 a Milano – è un viaggio affascinante nell’arte del generare alla fede attraverso la narrazione. «E i veri maestri in questo non possono che essere i genitori. Io appartengo a un ordine religioso al quale per secoli le famiglie hanno affidato i figli affinché fossero educati alla fede. Oggi credo sia giunto il tempo di riaffidare i figli ai genitori aiutandoli nel difficile compito di indicare la strada di Dio. I genitori, soprattutto oggi, sono gli unici a poterlo fare. E il racconto resta una strada privilegiata di educazione».
Nonostante l’attuale crisi del rapporto fra le generazioni?
«La nostra è una cultura in cui ogni generazione deve reinventarsi al ritmo delle nuove tecniche. Non è più il padre che trasmette le conoscenze al figlio: anzi, fa persino la figura dell’incapace. Ma di cosa si ricorderanno un giorno i figli divenuti adulti? Non credo della penultima versione dell’iPhone, ma della voce della mamma.
Così come non dimentico mia mamma che cantava canzoncine con delle storie bibliche. Una sulla storia di Zaccheo la ricordo molto bene… e io che giravo intorno al tavolo in cucina…».
Perché lo ricorda così bene?
«Perché le storie raccontate dai genitori si legano ai ricordi della vita. E quelle storie hanno una loro storia nella nostra vita: rilette a varie età mostrano contenuti sempre diversi. Per questo i genitori devono cominciare da subito a raccontare. Il racconto è un po’ come un’opera di artigianato che si trasmette di padre in figlio: ci lavora il padre e poi ci lavorano i figli e spesso anche i figli dei figli».
Tanti genitori oggi non raccontano e non saprebbero nemmeno cosa raccontare.
«Da giovane prete, in Francia, mi capitava di passare ore in confessionale e spesso per penitenza invitavo a raccontare una storia biblica ai figli o ai nipoti. Una donna anziana un giorno mi rispose: ‘Padre, non sarebbe meglio un rosario?’. Quella donna evidentemente non aveva sperimentato quell’alleanza speciale che c’è fra nonni e nipoti quando si raccontano storie. Anche Papa Francesco ha parlato del suo particolare rapporto con nonna Rosa. Nella dedica che ho fatto nella copia di questo libro che ho inviato a Francesco ho scritto: ‘A Papa Francesco che ci ha raccontato di come nonna Rosa gli raccontava’. Ecco, i nonni hanno un dono speciale. E se, come i genitori, hanno paura di raccontare, credo che nostro compito, il compito della Chiesa, sia di incoraggiarli, di confermarli in questa loro funzione essenziale: ‘Quando tuo figlio domani ti chiederà perché? Tu gli risponderai: Con braccio potente il Signore ci ha fatti uscire dall’Egitto…’ (Es 13, 14). Quando Dio si rivela a Mosè nel roveto ardente (Es 3, 6) gli dice: ‘Io sono il Dio di tuo padre.
Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe’, e in Dt 26, 5 Dio insegna a raccontare: ‘Mio padre era un arameo errante…’. Insomma, le generazioni sono direttamente implicate nella trasmissione del mistero e della fede».
Legandolo alla famiglia, lei scrive che il racconto è ospitale
come una casa.
«Noi abitiamo le storie come una casa nella quale col tempo cambiamo l’arredamento: nella casa c’è posto per tutti, così come del racconto c’è una versione adatta a ciascuno. Le parabole che raccontava Gesù hanno vari livelli di comprensione e ognuno trova il suo. Il racconto è una dimensione che non esclude e che tutti possono approfondire. Il racconto aggrega. Pensi alle storie che, soprattutto una volta, nelle case si narravano sugli antenati: ti facevano sentire parte di una storia, di una famiglia».
Un cristiano non può fare a meno di raccontare?
«Il nucleo della nostra fede è narrativo. Gli ebrei raccontano: ‘Eravamo schiavi e Dio ci ha liberati…’. Per noi cristiani ‘il Signore Gesù alla vigilia della sua morte prese il pane…’, oppure: ‘Il Signore Gesù ci ha liberati dalla morte…’. Storie del passato, ma strettamente legate alla vita di oggi. Tocca a noi continuare a renderle vive. Il Salmo 78 ci invita: ‘Ciò che abbiamo udito e conosciuto e i nostri padri ci hanno raccontato non lo terremo nascosto ai nostri figli…’. E i bambini sono affascinati dal passato, soprattutto se è possibile riviverlo per il presente».
Lo dicevamo all’inizio: in tante famiglie non si raccontano nemmeno più le favole… E poi qual è il momento per raccontare?
«Io sono un prete, non ho figli, ma ho 18 nipoti e seguo tante famiglie. La mia esperienza mi dice che bisogna sfruttare il sacro momento in cui il bambino si corica, non ha più la tv e i videogiochi. C’è il libricino illustrato e la voce della mamma, del papà, dei nonni. Perché in quel momento non raccontare storie bibliche? Ce n’è una per ogni situazione. Ma si può raccontare anche in vacanza, durante una gita, camminando insieme. Del resto l’elaborazione del racconto apre a un cammino interiore e la Bibbia è densa di personaggi che raccontano e camminano. Gesù è un grande camminatore e un grande narratore. Spero davvero che il Sinodo sulla famiglia proponga strade e offra consigli a questo riguardo: questa è la chiesa domestica». Fonte: Avvenire