“Bisogna fermare i raid e i bombardamenti” su Mosul, in Iraq. Così il Segretario generale di Caritas Internationalis Michel Roy, nel terzo giorno dell’offensiva per liberare la città dal sedicente Stato islamico. A rischio secondo Caritas oltre un milione e 250 mila persone, strette nella morsa della guerra.
(Massimiliano Menichetti per Radio Vaticana) Terzo giorno di offensiva su Mosul dove sono asserragliati i jihadisti dell’Is, confermata oggi la liberazione di 18 villaggi da quando è partita l’operazione della coalizione internazionale. Ci vorranno però secondo fonti militari non meno di due settimane per giungere in città e due mesi per liberare la parte settentrionale irachena. Oggi i miliziani hanno fatto saltare in aria la sede del governatorato nel centro di Mosul e dato alle fiamme anche alcuni pozzi di petrolio nelle campagne. E mentre sarebbero entrati in azione contro l’Is anche elicotteri Apache statunitensi, il Segretario generale di Caritas internationalis Michel Roy ribadisce che “vanno fermati bombardamenti e raid” per non vedere a “Mosul la distruzione e i morti di Aleppo” in Siria… l’appello di Roy è ai “potenti del mondo, Stati Uniti, Europa, Russia affinché non si accetti l’idea di una “guerra pulita”, ma si guardi, pur condannando con forza il “terrorismo di Daesh” a “tavoli d’incontro”.
Su quanto sta accadendo nel Paese, abbiamo sentito lo scrittore e intellettuale iracheno, Younis Tawfik, originario proprio di Mosul:
R. – Da intellettuale, ma anche da persona che ha i suoi familiari a Mosul: parecchi dei miei amici intellettuali e scrittori cristiani sono stati cacciati dalle loro case, e tutto questo è accaduto due anni fa sotto gli occhi del mondo …. E adesso, dopo due anni, il mondo si muove e ha deciso di muoversi per far uscire l’Isis dalla città di Mosul: mi chiedo che cosa stessero facendo, da allora, fino adesso? Perché non si sono mossi prima, quando la tragedia si era prospettata? Ormai, in questi due anni, l’Is si è radicato all’interno della città e diventa, quindi, molto più difficile farli uscire adesso, che non se lo avessero fatto subito…
D. – Quella intrapresa oggi dalla comunità internazionale è la strategia migliore per porre fine all’estremismo?
R. – Diciamo che è un primo passo. Non è certo così facile porre fine all’estremismo, proprio perché si è radicato ancora di più sul territorio. Non dimentichiamo che l’Is è nato dalla costola di al Qaeda. Sicuramente dopo la fine di questo fenomeno, ne salterà fuori un altro, perché le motivazioni che avevano dato la possibilità all’Is di crescere sul territorio non sono ancora finite.
D. – In un rapporto appena pubblicato Amnesty International denuncia, in particolare, la discriminazione nei confronti dei sunniti, accusati di complicità con l’Is…
R. – Il governo iracheno è di matrice sciita, guidato direttamente dall’Iran. Le sue milizie accusano i sunniti di complicità con l’Is, ma ignorano – oppure non vogliono sapere o fanno finta di non sapere – che i primi danneggiati dall’Is sono proprio gli stessi sunniti. La città di Mosul ha due milioni di abitanti che sono sunniti – come Falluja ed altre città – e che hanno subito la criminalità e la società dell’Is.
D. – Lei ha ancora familiari a Mosul. Cosa le raccontano?
R. – In questo momento non riesco a sentirli… Però fino a poco tempo fa mi parlavano di questa associazione a delinquere, di questi estremisti che discriminano chiunque non è con loro. Mia sorella – ad esempio – che abita nel quartiere cristiano, mi racconta che le case dalle quali sono stati cacciati via i cristiani, sono state prese dalle famiglie dell’Is, vi abitano e ora vi si parla in tutte le lingue meno che in arabo. Mia sorella mi dice: “Mi piange il cuore, quando vedo le case delle mie amiche e dei miei vicini, lasciate con tutto il loro arredamento… E questi, invece, ci abitano!”.
D. – Del suo meraviglioso Paese, che ha alle spalle una storia millenaria, ormai si parla solo ed esclusivamente per la guerra. Che effetto le fa?
R. – Sono afflitto! Sono ferito! Anche perché la terra tra i due fiumi, l’antica Ninive e soprattutto Mosul, tutto il patrimonio che io avevo vissuto da giovane e che vedevo tutti i giorni, adesso lo vedo distrutto! Dalle moschee alle chiese, ai monumenti… E questo fa più male che altro.
D. – Ha voglia di regalarci un ricordo personale legato alla sua città?
R. – Quello del primo impatto con la Divina Commedia. Il mio professore di liceo mi diede alcuni versi tradotti; dopo averli letti, chiesi dove potevo trovare i tre volumi: lui mi indicò la Chiesa dell’Orologio, nel nostro quartiere, dove io abitavo, e dove andai da padre Youssef Habbi, che poi divenne un mio caro amico, che mi diede i tre volumi da leggere, e questo mi ha aperto la strada per arrivare in Italia.
D. – Quale futuro vede per Mosul e per l’Iraq?
R. – Adesso non vedo un futuro né tranquillo né prospero: vedo ancora più scontri. Sicuramente, dopo la cacciata dell’Is, ci saranno altri scontri tra curdi e governo centrale, tra l’Iran da una parte e la Turchia dall’altra… Non vedo una fine tranquilla per l’Iraq, almeno per i prossimi anni.
Redazione Papaboys (Fonte it.radiovaticana.va)
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