Carlo Bianchi fu cofondatore con Teresio Olivelli del giornale “Il Ribelle”
(Articolo di Debora Donnini) Un uomo che non ha combattuto con le armi ma con le parole e con l’aiuto al prossimo. Così si potrebbe definire la figura di Carlo Bianchi, nato a Milano nel 1912, marito e padre di 4 figli, che fu presidente della Fuci milanese, socio dell’Azione Cattolica, e fondò la “Carità dell’Arcivescovo” associazione per l’aiuto ai bisognosi nella Milano bombardata.
Fu anche membro dell’Organizzazione soccorso collocamento assistenza ricercati (O.S.C.A.R.) e cofondatore con Teresio Olivelli del giornale “Il Ribelle”.
Venne fucilato a soli 32 anni a Carpi, il 12 luglio 1944, dopo essere stato arrestato in piazza San Babila, a Milano, e aver passato un periodo nel carcere di San Vittore e poi nel campo di concentramento di Fossoli. Pagò, dunque, con la vita il suo impegno antifascista.
Dalla scorsa settimana una nuova pietra d’inciampo arricchisce la memoria di Milano e ricorda proprio Carlo Bianchi, Medaglia d’Oro del Comune e Medaglia di Bronzo al Valor militare. Sono 132 le pietre d’inciampo del capoluogo lombardo: una presenza sull’asfalto davanti ai portoni delle case dove non tornarono più ebrei, partigiani, resistenti. Pietre che, pur apparentemente mute, raccontano una storia importante.
Bianchi è stato prima di tutto un uomo di fede, profonda, e di impegno. La sua testimonianza è stata ricordata, ieri, in un incontro dal titolo “Dalla Resistenza al futuro, il compito di educare”, trasmesso sul canale YouTube della Fondazione Ambrosianeum che lo ha organizzato assieme all’arcidiocesi di Milano, al Servizio diocesano per la Pastorale giovanile, all’Azione Cattolica ambrosiana, e a Acli Milano, Fuci Milano e Associazione Fiamme Verdi. Ad intervenire anche l’arcivescovo della diocesi, monsignor Mario Delpini, il professor Anselmo Palini, saggista, la figlia Carla Bianchi Iacono, Pia Majno Ucelli di Nemi, staffetta delle Fiamme Verdi, e a moderare è stato il presidente di Ambrosianeum, Marco Garzonio. Carlo Bianchi fu, in un certo senso, “una pietra di inciampo – ha detto l’arcivescovo – perché ha capito con chiarezza il valore di una fede da praticare, di una proposta che interpella; perché ha vissuto la sua responsabilità in un’aggregazione come l’Azione Cattolica, in un popolo che cammina; perché la chiarezza della proposta, l’appartenenza a un’associazione ha dato i criteri per dire sì e no anche a rischio della vita”.
La svolta, in qualche modo, racconta nell’intervista a Vatican News, Giacomo Perego, direttore dell’Ambrosianeum, avviene probabilmente dopo il ’43, quando la città di Milano, bombardata, vive un momento drammatico e il cardinale Idelfonso Schuster, in quella Quaresima, indirizza agli universitari milanesi una lettera in cui chiede di farsi carico di questa situazione sociale e allora, con altri amici della Fuci, Bianchi fonda quella che allora si chiamava la “Carità dell’Arcivescovo” per l’assistenza ai bisognosi della città. Oggi, dopo 75 anni, esiste ancora – l’anno scorso è stata insignita dell’Ambrogino d’Oro – è guidata dalla figlia Carla e si chiama “Centro di assistenza legale e medica cardinale Schuster”. Si trattava allora, spiega Perego, di un’attività “semiclandestina” di assistenza a vedove di guerra, orfani, a chi aveva perso la casa nei bombardamenti, che Bianchi guidava.
Ma oltre al campo della solidarietà, si impegna anche in politica e aderisce al CLN Alta Italia, dove introduce anche il beato Teresio Olivelli, che prima gravitava più sull’ambiente bresciano. I due fondano, presso il collegio San Carlo di Milano, il giornale “Il Ribelle” con altri giovani e si coinvolgono anche nel gruppo dell’O.S.C.A.R., l’’organizzazione clandestina composta da preti e laici della diocesi di Milano, ramificata un po’ in tutto il Nord Italia, che, come ricordato, si occupava di espatri di ricercati politici e ebrei. Bianchi è anche stato dichiarato l’anno scorso membro del Giardino dei Giusti tra le Nazioni, nel giardino virtuale a Milano, in quanto nella sua casa in via Villoresi 24, nascose una coppia di ebrei. “Questa sua attività antifascista lo portò, assieme a tutta la redazione de ‘Il Ribelle’, ad essere arrestato assieme a Olivelli e condotto a San Vittore e poi deportato a Fossoli”, racconta ancora Perego. Lì, assieme a 66 antifascisti, fu fucilato, ufficialmente come rappresaglia per un attentato che ci fu a Genova qualche giorno prima.
Carlo Bianchi, Teresio Olivelli e gli altri chiamati “Ribelli per amore” scelsero di ribellarsi nel senso dell’amore cristiano di fronte alla dignità dell’uomo calpestata nella propria dimensione materiale e umana. A testimonianza di questo, il direttore dell’Amborsianeum, richiama gli articoli scritti su “Il Ribelle”, che peraltro continuò a uscire fino alla fine della Guerra, tirando migliaia di copie in tutto il Nord Italia. Veniva diffuso clandestinamente nelle parrocchie, dalle suore, dalle studentesse dell’Università Cattolica, dai fucini. Ma ricorda anche la preghiera dei “Ribelli per amore” tradizionalmente attribuita a Olivelli, ma in realtà scritta assieme a Bianchi che, in particolare, aggiunse quella che è una delle ultime implorazioni, quando dice: “Veglia Tu sulle nostre famiglie”. Carlo, infatti, era sposato e aveva già tre figli piccoli. Era in attesa della quarta figlia che nacque un mese dopo la sua morte. Una vicenda, quella dei “Ribelli per amore”, che insegna “la responsabilità che ognuno di noi ha di fronte alle sfide della storia”. A colpire è anche la serenità che Bianchi, Olivelli e gli altri ebbero nel momento dell’incarcerazione e della deportazione. Giacomo Perego si richiama alla testimonianza di Don Paolo Liggeri – anche lui fu deportato – prete milanese, che nascose centinaia di ebrei e che “un giorno andando nel carcere di San Vittore, entra nella cella di Bianchi e Olivelli e descrive questo incontro come un cenacolo spirituale”. Diceva che si respirava “una serenità evangelica”: questi giovani avevano non solo inciso col carboncino sulla parte della cella la testata “Il Ribelle” ma tutta la preghiera che avevano composto. A Fossoli, poi, organizzarono incontri notturni di commento al Vangelo. “Questo nella drammaticità degli eventi, dava il senso della loro serenità d’animo perché erano consapevoli di quello che era giusto fare in quel momento”, afferma Perego.
Tra l’altro – racconta un articolo dell’arcidiocesi ambrosiana – don Liggeri “con l’appoggio di Radio Vaticana, si occupò della registrazione e dell’invio di più di 171.200 messaggi ai famigliari di militari civili internati o dispersi”.
Un altro protagonista di quegli anni è stato don Giovanni Barbareschi, che si impegnò con il gruppo scoutistico cattolico le Aquile Randagie e con l’O.S.C.A.R. per portare in salvo in Svizzera ebrei, militari alleati e ricercati politici. Il sacerdote fu anche l’ultimo a vedere in vita Bianchi che gli consegnerà il saluto per i suoi bambini. L’ultima figlia di Bianchi, Carla, venne alla luce a un mese di distanza dalla morte del padre. Iniziò a capire meglio la sua vicenda intorno ai 20 anni e poi facendo ricerche storiche e scrivendo un libro studiato anche all’Università di Milano, dal titolo: “Aspetti dell’opposizione dei cattolici di Milano alla Repubblica sociale italiana”.
“L’insegnamento della sua vita è che ha fatto molte cose importanti senza guadagnare niente”, ci racconta sottolineando, con commozione, la sua capacità di fare il bene degli altri, la sua fede, pur nella sofferenza di non averlo conosciuto e portando il peso di questa mancanza. Forte è stato il desiderio di Carlo Bianchi di costruire una società più fraterna e giusta: una missione per cui spese la vita, difendendo i più deboli, e scrivendo una di quelle pagine di storia che non si possono, né si devono, dimenticare.
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