Nel 20° anniversario del martirio di don Peppino Diana: Caro don Peppino «se il chicco di grano non muore non porta frutto». Sai? A te lo posso dire: gli eroi, come i santi martiri, mi intimidiscono, mi mettono a disagio. Troppo distanti li vedo da noi, poveri mortali. Il fatto, poi, che qualcuno si sia macchiato del loro sangue, mi addolora fino allo spasimo. Preferisco i santi “normali”, quelle persone che, come Maria, la mamma di Gesù, consumano i loro giorni facendo il bene. Mi piacciono le persone normali, come normale eri tu: un prete senza aggettivi. Il prete è un uomo che ritiene la sua vita troppo fragile e preziosa e si preoccupa di metterla al sicuro. Perciò prende il suo cuore e lo regala al Solo che può tenerlo eternamente vivo. Tu eri innamorato di Cristo e della libertà che da sempre Egli sparge a piene mani. Lo hai invocato, pregato, adorato nelle tue notti insonni; lo hai poi cercato nei fratelli più bistrattati, umiliati, maltrattati. Qualcuno, Peppino, pensa che il cristiano – e ancor di più il prete – debba essere neutrale, un uomo senza passioni, che non si schiera mai. Equidistante dall’oppresso e dal tiranno. Tu, al contrario, sapevi bene che il prete è un uomo sempre in bilico tra cielo e terra. Che di giorno si sporca le mani per soccorrere e promuovere i fratelli e di notte si procura i calli alle ginocchia per portarli a Dio. Tu, Peppino, il martirio non lo hai mai cercato. La tua sete di giustizia, però, dava fastidio a tanti. Chi a Casal di Principe ti voleva bene ti consigliava di essere prudente. La prudenza, virtù necessaria e nobile, non è però codardia o quieto vivere. Tu, uomo di Dio, non potevi fingere di ignorare la pena immensa che il tuo popolo era costretto a sopportare a causa di chi, per brama di denaro, svendette la sua stessa umanità. Costoro – si chiamino camorristi, mafiosi o ’ndranghetisti è la stessa cosa – appollaiati sulle spalle altrui, decisero di campare a sbafo. Sottoscrissero un patto scellerato con la propria coscienza, dichiararono una guerra stupida e feroce alla civile società. Non vogliono sottostare a nessuna regola, non amano essere ostacolati. È come se un tarlo maledetto ne avesse deturpato la ragione. Scaltri come i serpenti hanno smarrito la semplicità delle colombe. Per fare presa sulla gente, intimidiscono, minacciano, uccidono. Potevi tu, don Peppino, tacere davanti a tanto scempio? Potevi «mettere la museruola al bue che trebbia?» No. Afferrato da Cristo, ne eri diventato liberamente prigioniero. Nessuno, per nessun motivo, può chiedere a nessuno di rinunciare alla sua dignità di uomo.
E tu, libero come il vento che soffia a primavera, sei andato per la “tua” strada. Come Gesù, l’hai imboccata, pur sapendo che a “Gerusalemme” ti avrebbero arrestato, flagellato e messo in croce. «Dio te ne scampi, Signore, questo non ti accadrà mai», disse Pietro al Cristo mentre, indurito il volto, si incamminava verso la città santa. Ma per questo “consiglio” inopportuno fu da lui aspramente redarguito. No, a Gerusalemme, quando il momento è giunto, si va. Con le lacrime agli occhi e la morte nel cuore, se Lui lo chiede, si deve andare. Invocando il Padre: «Se puoi trapassa da me questo calice …» ma aggiungendo subito: «Non la mia, la tua volontà sia fatta …». Peppino mio, come è umano Gesù nell’orto. Quanta tenerezza suscita la sua agonia. Non è un eroe pur essendo pronto per essere inchiodato. Peppino, posso dirtelo? Come somigli a Gesù, tradito e sanguinante nell’uliveto benedetto. Come Lui hai versato il sangue per riscattarci dall’infamia che da anni vuole tenerci prigionieri. Sai? Non te l’ho detto mai, ma da quella mattina – son passati 20 anni – la nostra vita non è più la stessa. La tua morte ha segnato in modo indelebile la nostra diocesi di Aversa e la Chiesa italiana. Il tuo impegno, il tuo coraggio, il tuo sangue hanno marchiato a fuoco il nostro territorio. Dal tuo seme marcito nella nostra bella terra campana sono nate spighe meravigliose. La tua giovane esistenza, la tua fede, il tuo sacerdozio, il tuo martirio hanno impreziosito la nostra antica e fiera Chiesa aversana. Tu non sei morto, sei più vivo che mai. Prega per noi. Perché mai più nessuno abbia a soffrire e a morire per la sua fede. Perché termini come “camorra” e “mafia” siano banditi da tutti i vocabolari del mondo. Perché i fratelli camorristi possano pentirsi e chiedere perdono. Perché i sentimenti di giustizia e misericordia invadano i cuori di tutti gli uomini creati a immagine di Dio. Prega per questa tua terra maltrattata e bella perché da “terra dei fuochi” ritorni orgogliosamente a essere “terra di lavoro”, “Campania felix”.Padre Maurizio PATRICIELLO