C’è tempo per ogni cosa: ‘vi racconto la mia vocazione’

C’è un tempo per ogni cosa. Credo che sia giunto il momento di rendere pubblico quanto mi accadde nell’estate del 1985. Mi limito a raccontare i fatti come li ho vissuti. Ognuno ha il diritto di interpretarli come meglio crede. Naturalmente lo stesso diritto vale anche per me. Dopo un lungo periodo passato lontano dalla Chiesa cattolica, vi feci ritorno a quasi 28 anni. All’origine vi fu un incontro. Sul mio cammino, a Napoli, nei pressi del bosco di Capodimonte, incontrai un frate francescano, fra Riccardo, al quale diedi un passaggio in macchina. Quell’incontro mi cambiò la vita. Lavoravo allora in ospedale. Ero entrato come infermiere, ma continuando a studiare, ero diventato capo reparto e mi ero specializzato sulle tossicodipendenze. Niente avrebbe fatto prevedere la svolta che sarebbe arrivata. Con fra Riccardo – oggi fondatore in Africa di due nuove congregazioni francescane – iniziò un serio cammino di conversione. Riccardo era romano. Un giorno lo accompagnai a Roma dai suoi genitori. Fu lì che volle presentarmi la mamma di un suo amico di scuola, mamma di tre figli, che chiamerò Angela. Non aveva ancora 30 anni quando si ammalò di sclerosi multipla. Ben presto finì sulla sedia a rotelle. Soffrì in modo indicibile. Nella sofferenza, però, trovò la fede e la sua vocazione: nel cuore della Chiesa ella avrebbe pregato e offerto il suo dolore soprattutto per i sacerdoti. Quando arrivai nella sua casa per la prima volta, le allungai la mano per salutarla. Mi accorsi che mi sorrideva senza però darmi la sua mano. Capìì che non poteva e mi chinai per darle un bacio. Nacque tra noi un’ amicizia bella, disinteressata, vera. Intanto, dopo il ritorno al cattolicesimo cominciai a chiedermi seriamente che cosa il Signore volesse da me. Compresi che la mia strada era quella del sacerdozio e la imboccai con gioia. Correva l’autunno del 1984 quando mi misi in aspettativa ed entrai nel seminario teologico di Capodimonte. Rettore, allora, era monsignor Agostino Vallini, attuale Cardinal vicario del Papa. Il primo anno di seminario volò. Gli studi di teologia mi affascinavano. Non vedevo l’ora di essere prete. A giugno del 1985 chiesi al mio vescovo di riprendere il lavoro per i tre mesi estivi. Questo mi avrebbe permesso di guadagnare qualcosa da mettere da parte e mantenermi negli studi senza dare fastidio a nessuno.

Ritornai nell’ospedale dove avevo lavorato per otto anni. Dopo pochi giorni mi accorsi che qualcosa non andava. Mi stancavo facilmente e non avevo voglia di mangiare. All’inizio pensai che fosse solo la stanchezza accumulata. Poi le cose peggiorarono. Non riuscivo a rendere un buon servizio, me ne mancavano le forze. Parlai con un caro amico medico e subito feci gli esami del sangue. La risposta ci colse di sorpresa. I globuli bianchi erano scesi a 2.800. Pochi. Ci portammo allora personalmente in laboratorio e rifeci l’esame. Il numero era sempre quello. Il mio amico allora mi consigliò di recarmi subito al reparto di ematologia dell’ ospedale Cardarelli. In quel reparto occupava un posto importante il dottore Verdi, un medico cugino di una collega, che già mi attendeva. Fui ricoverato in Day Hospital. Anche qui il numero dei globuli bianchi risultò lo stesso. Fui sottoposto al puntato sternale. Mi aspirarono, cioè, del midollo dallo sterno. La risposta sarebbe arrivata dopo una settimana. Ritornai al Cardarelli per la risposta e il dottore Verdi mi disse testualmente: “Maurizio se tu dovessi stare come dice questo esame, sarebbe terribile, perché il midollo è quasi assente. Io credo che c’è stato un errore nel prelievo. Stavolta te ripeto personalmente”. Secondo puntato sternale. Tornato a casa mi sentivo sempre peggio. Intanto Sebastiano, mio carissimo amico di seminario, aveva promesso a Gianni, giovane fortemente disabile, di portarlo ad Assisi. Chiese a me di accompagnarlo perché per accudire Gianni occorrevano almeno due persone. Andammo e qui mi resi conto di quanto stessi male. Non avevo la forza di prendere Gianni per metterlo a letto o accompagnarlo in bagno. Non avevo la forza nemmeno di salire la scala dell’albergo privo di ascensore. Il ritorno a casa fu un piccolo calvario. Intanto Angela, che spesso da Roma portavo al mio paese, vi fece ritorno senza avvisarmi. Strano. Si fece accompagnare da Tonino e se ne venne da Veronica, la persona che volentieri la ospitava. A me non fece piacere. Non mi andava di farmi vedere in quelle condizioni e farla soffrire. Anche i miei fratelli sapevano solo in superficie ciò che mi stava accadendo. Ritornai al Cardarelli per la risposta del secondo puntato. Ad attendermi c’era proprio il medico che me lo aveva praticato, il dottore Verdi, il quale subito mi disse che le cose non andavano bene e mi affidò a un suo giovane collega, il dottore Giglio. Seduti uno di fronte all’altro, il medico mi disse testualmente: “Ho troppo rispetto per la sua intelligenza per tentare di nasconderle la situazione. Siamo di fronte a una patologia grave …”.

Si accorse che una lacrima mi scendeva dal viso e aggiunse: “Non si deve scoraggiare… si può sempre tentare il trapianto di midollo …”. Chiesi quale fosse il prossimo passo da fare e mi disse: “La biopsia ossea”. Un solo pensiero mi attraversava la mente: essere ordinato sacerdote. Corsi immediatamente in seminario da monsignor Vallini. Gli raccontai tutto pregandolo, se mi fossi aggravato, di chiedere la dispensa al Papa e farmi ordinare prete prima del tempo stabilito. Decidemmo di lasciare Napoli e recarci dal professor Mandelli a Roma. Prima, però, avrei fatto la biopsia ossea. Quella mattina fu don Nicola, mio fraterno amico, ad accompagnarmi al Cardarelli perché già non riuscivo a guidare. Il prelievo fu doloroso. La risposta come sempre sarebbe arrivata dopo una settimana. I giorni passavano. Una domenica mattina mi recai da Veronica, dove alloggiava Angela. Ricordo che Marta, la persona che la accudiva le stava dando da bere un bicchiere di latte.

Per Angela bere e mangiare era un autentico tormento perché ingoiava con difficoltà. Avevo la faccia triste per la piega che stava prendendo questa storia. Sapevo bene che Angela, la mia famiglia, la mia comunità, i miei amici, il mio rettore stavano pregando per me. A un certo punto Veronica mi dice: “ Maurizio quando sarai sacerdote … “Non le lasciai terminare la farse: “ Sarò sacerdote? Credo che nemmeno rientro in seminario in queste condizioni …”. Fu allora che accadde una cosa inaspettata. Angela, che fino a quel momento aveva taciuto, si fece rialzare il capo, mi guardò con un sorriso e mi disse, testualmente: “Maurizio tu rientrerai in seminario, diventerai sacerdote e romperai le … a parecchia gente. La grazia è giunta … la battaglia è vinta … “. Eravamo in quattro in quella minuscola cucina. Ci guardammo in faccia senza parlare. Come interpretare queste parole? Che sarebbe successo pochi giorni dopo? Fra Riccardo mi aveva detto che Angela era una donna tutta di Dio, ma credere ai miracoli non è facile. Feci allora una cosa di cui non mi sono mai pentito. Confidai ai miei fratelli e agli amici più intimi quanto era accaduto. Se di un intervento divino davvero si trattava, volevo che, almeno loro, in seguito non avessero avuto, come me, mai dei dubbi. Venne il giorno tanto atteso. Stavolta feci uno sforzo e mi recai al Cardarelli da solo. Ero emozionato e teso. Passavo dall’ angoscia alla speranza. Le risposte non erano ancora arrivate nel reparto ma erano pronte in laboratorio. Andai a prenderle personalmente e le consegnai al dottore Giglio. Il povero medico che una settimana prima mi aveva detto che ero affetto da una grave patologia ematologica, si fece rosso in viso e, ridandomi le carte mi disse: “ Le faccia vedere al dottore Verdi … -“Obbedìì. Il dottore Verdi lesse e rilesse quelle carte cento volte … altrettante volte se le girò fra le mani … stralunava gli occhi… sorridev … Poi mi chiese: “Maurizio che cosa desideri?”. “ Io? Ritornare a casa …”. Allora te ne puoi andare. Lo guardai. Ci guardammo. La testa mi girava. Non capivo niente. Non gli dissi niente. Non gli chiesi niente. Ritornai in seminario. IL 29 aprile del 1989 fui ordinato sacerdote. Angela era volata tra gli angeli 3 anni prima. Prima di morire affidò a Veronica un calice pregandola di donarmelo per la mia prima Messa. Era suo desiderio essere sepolta al mio paese. Morì tra le mie mani. Riposa nel nostro cimitero. Credo di averla amata come i suoi stessi figli. Martedì 29 aprile celebro dunque il venticinquesimo anniversario della mia ordinazione. Era forse venuto il momento di rendere pubblica questa testimonianza. Per la gloria di Dio e per tenere in vita la speranza. Tutto ciò che ho scritto è la pura verità. Per rispettare la privacy delle persone coinvolte ho solamente cambiato i loro nomi. Padre Maurizio PATRICIELLO

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