Nell’Aprile del 2018 l’opinione pubblica italiana, sensibilizzata soprattutto dalle dichiarazioni di Sua Santità Papa Francesco, seguì con moltissima apprensione la storia di Alfie Evans. Alfie era un bambino di Liverpool che ha trascorso quasi la totalità della sua brevissima vita attaccato al respiratore artificiale.
Il piccolo Alfie, infatti, non era in grado di respirare correttamente a causa di un’infezione toracica che non fu prontamente diagnosticata dai medici inglesi e che peggiorò nel corso dei primi sei mesi di vita del bimbo.
Nel dicembre 2017 l’ospedale comunicò ai giovani genitori di Alfie che il bambino versava in uno stato semivegetativo e che non c’erano speranze di migliorare la sua condizione. Affermando di fare il massimo interesse del piccolo paziente, i medici di Liverpool dichiararono di voler sospendere la ventilazione, cioè letteralmente staccare la spina del ventilatore che teneva artificialmente in vita Alfie Evans.
I genitori del bambino chiesero allora disperatamente che il proprio bambino venga trasferito al Bambin Gesù di Roma per continuare a essere curato. I medici che avevano tenuto in cura Alfie fino ad allora collaborarono con quelli italiani, giungendo alla conclusione che la condizione di Alfie non fosse curabile. La Corte Suprema si pronunciò sul caso, confermando l’inutilità di qualsiasi tipo di cura che non fosse palliativa.
Affidandosi a cavilli burocratici, i genitori di Alfie riuscirono a posticipare l’ora prevista per l’interruzione della terapia. Nel frattempo il governo del nostro Paese aveva deciso di concedere la cittadinanza italiana al bambino, nella speranza di favorire il suo trasferimento a Roma. Il Giudice Anthony Hayden, incaricato di deliberare sul caso, respinse la richiesta di rinvio della procedura, stabilendo il giorno in cui Alfie Evans sarebbe morto.
Il ventilatore che teneva in vita Alfie venne spento il 23 Aprile: il bambino continuò a respirare autonomamente per diverse ore, fino a che i medici decisero di riprendere sia la ventilazione sia l’idratazione del bambino, che rimase in vita, per ben cinque giorni dopo che la spina delle macchine che gli consentivano di respirare era stata staccata.
Il vortice mediatico che si sviluppò intorno alla faccenda, soprattutto a seguito dell’intervento del Vaticano nella disputa intorno alla sorte di Alfie Evans, travolse i genitori del bambino i quali, negli ultimi giorni di vita di Alfie chiesero alla stampa di non interessarsi più al loro caso, lasciando alla famiglia la privacy di cui aveva bisogno per gestire emotivamente la questione.
La richiesta di Thomas e Kate Evans dovrebbe far riflettere moltissimo in merito all’importanza dei media nella comunicazione di massa in materia di sanità. Il caso di Alfie Evans, infatti, alimentò una profonda riflessione sull’eutanasia e, come già detto, sensibilizzò moltissimo l’opinione pubblica dei paesi più cattolici d’Europa (l’Italia e la Polonia) sulla questione. In quel caso però si arrivò alla cosiddetta “sovraesposizione mediatica”: il fatto che i media trattassero il caso ripetutamente e approfonditamente finì con il danneggiare le persone che stavano vivendo quell’immane sofferenza sulla propria pelle.
E’ sempre un male però che la televisione e la stampa trattino in maniera martellante e diffusa argomenti legati alla sanità? Assolutamente no, soprattutto nel periodo estivo, in cui le ondate di calore sono più frequenti e pericolose.
Il servizio pubblico e le principali emittenti televisive private fanno infatti informazione a tappeto nei mesi estivi, raccomandando soprattutto alle persone delle fasce fisicamente più deboli della popolazione (come anziani, bambini e ammalati) di non uscire nelle ore più calde del giorno, di idratarsi adeguatamente e di consumare solo cibi salutari.L’utilizzo di condizionatori d’aria dovrebbe essere limitato: sia per l’impatto ambientale causato dagli alti consumi energetici dei condizionatori, sia perché gli sbalzi di temperatura tra l’interno e l’esterno delle abitazioni possono provocare mancamenti e malori anche gravi. Molto meglio invece affidarsi a un ventilatore a torre o da tavolo, in grado di alleviare la calura consumando infinitamente meno rispetto a un condizionatore e non aumentando i rischi per la salute di chi lo utilizza.