R. – La questione dei minerali insanguinati è un problema che non nasce adesso. Oggi questi minerali vengono estratti in zone di conflitto e vengono esportati verso i Paesi in cui ci sono le produzioni di particolari dispositivi che utilizzano questi minerali. In particolare, la situazione più critica è quella della Repubblica Democratica del Congo perché qui esistono giacimenti di minerali particolarmente preziosi: l’oro, il tantalio, che insieme alla columbite forma il coltan che viene utilizzato nei nostri computer, nei nostri telefonini; e poi stagno e tungsteno che vengono estratti in miniere abusive in cui lavorano uomini, donne e soprattutto bambini. Queste miniere vengono sfruttate da alcune milizie che si combattono all’interno del Congo e che sono sostenute dai Paesi confinanti. Questa situazione è quindi causa di guerra: un conflitto che ha causato circa tre milioni e mezzo di morti negli ultimi venti anni. Per questo, per bloccare questo sistema, gli Stati Uniti hanno approvato nel 2010, la Dodd-Frank, una legge che obbliga gli importatori di questi materiali a dichiarare da dove questi provengono.
D. – Qual è l’obiettivo della petizione che alcune ong, tra cui i gesuiti di Alboan e Magis-Italia, presentano al Parlamento europeo?
R. – L’obbiettivo è fare pressione sugli europarlamentari affinché approvino un testo nel quale diventi obbligatorio per gli importatori dichiarare la provenienza di questi minerali. Il testo che arriverà in Parlamento europeo e che verrà discusso la prossima settimana è molto fragile perché non c’è un obbligo da parte dell’Unione Europea, ma soltanto un inivito a segnalare la provenienza di questi minerali. Successivamente verrebbero pubblicate delle liste con i nomi delle imprese e i luoghi da dove esse si forniscono. Ma è troppo poco: l’obbiettivo è fare pressione sul Parlamento affinché approvi una legge più vincolante.
D. – La Comunità internazionale si sta muovendo?
R. – Da più tempo si sta cercando di porre fine a questi conflitti, quindi, per esempio, esiste una missione Onu nella Repubblica Democratica del Congo che si muove con molta difficoltà in questo teatro. Gli interessi in queste regioni sono molto forti: ci sono spinte interne da parte del governo congolese che non fa nulla per intervenire – e forse non ne ha anche i mezzi – e riprendere il controllo su queste regioni da parte degli Stati stranieri che hanno forti interessi su queste regioni: Rwanda, Burundi, Uganda, Kenya, Tanzania e così via. Poi soprattutto le compagnie minerarie che in questo modo riescono ad ottenere dei minerali preziosi a prezzi bassi e senza dovere le royalty a chi effettivamente ne possiede i diritti, cioè la Repubblica Democratica del Congo.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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