R. – La situazione di guerra che sta colpendo il Paese da più di due anni ha fatto sì che il numero dei bambini soldato si sia quadruplicato: solo due anni fa erano circa 2500, adesso si parla di circa 10mila bambini soldato. È un fenomeno atroce; alcuni minori vengono rapiti, arruolati a forza, ma parte di loro si arruolano “volontariamente” perché sostanzialmente in una situazione di estrema povertà, carenza di strutture anche di tipo educativo, scolastico e anche di opportunità lavorative, i bambini, i ragazzi, non vedono altra scelta che non quella di arruolarsi per avere un pasto caldo e un certo riconoscimento sociale. In realtà poi vivono tutti i giorni delle atrocità incredibili: sono costretti a combattere in prima linea o fanno altri compiti; le ragazze hanno “il ruolo di mogli” dei principali combattenti, perché subiscono degli abusi sessuali.
D. – Si parla quindi di infanzie violate. È possibile recuperare questi bambini?
R. – Chiaramente sono delle situazioni molto difficili e molto particolari. Le violenze a cui assistono e sono i diretti protagonisti sono molto gravi. Il recupero psicologico di questi ragazzi è molto delicato, molto difficile. Alcuni di loro, poi quando tornano nelle loro comunità subiscono una forte stigmatizzazione, in particolar modo le ragazze che essendo state mogli, e quindi avendo subito degli abusi sessuali, non vengono considerate sicuramente di buon occhio. Tuttavia il recupero è assolutamente possibile con degli interventi specifici e mirati su questi ragazzi. Save the Children ha una lunghissima esperienza in questo senso.
D. – A tal proposito, ci puoi parlare di come opera Save the Children? Qual è il vostro intervento per questi ragazzi?
R. – Fondamentalmente si opera in due filoni: da una parte c’è un attento lavoro di recupero psicologico assolutamente necessario. Nella Repubblica Centrafricana abbiamo allestito degli spazi a misura di bambino nei campi di rifugiati e nel Paese per cercare di accogliere questi ragazzi e farli vivere con la necessaria protezione, soprattutto cercare di recuperarli attraverso un gioco, percorsi educativi da un punto di vista psicologico. Dall’altra, c’è il reinserimento nelle comunità, che è ancora più delicato; lì si opera attraverso il reinserimento scolastico sempre accompagnato da un supporto psicologico attraverso dei corsi di formazione professionale. Attualmente ogni settimana aiutiamo circa 25mila persone tra cui 17mila bambini della Repubblica Centrafricana.
D. – E le istituzioni locali stanno cercando di recuperare questi bambini? La comunità internazionale ha ben presente questo dramma? Si ha intenzione di intervenire o ci sono ancora molti ostacoli per recuperare questa situazione?
R. – È un problema enorme ovviamente del Paese; è un problema enorme. È difficilissimo: sia per le comunità locali che quelle internazionali hanno ben presente la dimensione del problema. Purtroppo a livello internazionale i pregressi, in questo senso, sono un po’ lenti; soltanto nell’aprile del 2014 le Nazioni Unite hanno istituito questa missione – Minusca – la cui priorità è la protezione dei civili con degli interventi specifici sulle donne e sui bambini. La missione prevede circa diecimila militari, quasi duemila poliziotti e – ahimè – soltanto sedici esperti di protezione dei bambini. Con grande ritardo la Minusca ha cominciato le sue operazioni sostanzialmente a novembre di quest’anno. Quindi i progressi per il momento sono molto lenti, andrebbero accelerati e andrebbero trovate delle risorse più importanti soprattutto per il recupero psicologico di questi bambini soldato.
Fonte. Radio Vaticana
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