“La situazione nella Repubblica Centrafricana è ovunque molto tesa” scrive all’agenzia Fides padre Aurelio Gazzera, missionario carmelitano che è appena rientrato da Bangui a Bozoum, dove vive ed opera. Nella capitale padre Aurelio ha partecipato ad una sessione della Caritas, alla quale erano presenti i responsabili di tutte le 9 diocesi del Paese. Il missionario ha così potuto raccogliere informazioni di prima mano su diverse aree del Centrafrica. “A Bossangoa (dove a fine settembre gli scontri tra i membri di Seleka e gruppi armati legati all’ex Presidente Bozizé hanno costretto alla fuga la popolazione, ci sono ancora 41 mila rifugiati (di cui 34 mila nella concessione della cattedrale). A Bangui, la capitale, da oltre una settimana ogni giorno ci sono scontri, sempre in quartieri diversi, con morti (uccisi dai ribelli della Seleka) e reazioni da parte della gente” riferisce padre Aurelio. “A Bangui ho potuto incontrare alcuni quadri importanti di certe istituzioni e tutti sono molto preoccupati perché si aspettano qualcosa da un giorno all’altro. Alcuni segnalano segni chiari di preparazione di partenza di ministri del governo” continua padre Aurelio. Il missionario avanza alcune ipotesi per spiegare innalzamento della tensione. “In primo luogo – osserva – il 27 novembre il Consiglio di Sicurezza dell’Onu dovrà pronunciarsi sull’eventualità di un intervento in Centrafrica. Questo intervento potrebbe essere più di una semplice Forza di interposizione, perché tutti hanno fatto appello al capitolo 7 della Carta dell’Onu, che apre la strada ad un intervento armato con facoltà di usare la forza (come nella Rdc)”. Ad agire saranno chiamati i 3.600 militari dei Paesi dell’Africa Centrale che a dicembre dovrebbero iniziare ad operare nell’ambito della Misca. A questo si aggiungono “le reazioni sempre più numerose ai crimini dei ribelli della Seleka: la costituzione di formazioni (dette “anti balaka”) costituite da civili esasperati dai comportamenti dei ribelli. Gli anti balaka hanno già operato a Bossangoa, a Bouar e altrove”. “Infine – dice padre Aurelio – la dissoluzione della Seleka, annunciata dal Presidente Djotodjia, non ha avuto nessuna ripercussione ma ha comunque accentuato, nei ribelli, il nervosismo”. “La conseguenza di questi fattori è il fatto che molti ribelli sembrano darsi da fare per rubare il più possibile, e partire al momento giusto. Si teme anche (ed è più che possibile) un bagno di sangue, con l’eliminazione di eventuali testimoni, e di personalità che in un modo o nell’altro hanno reagito o denunciato i crimini di questi 8 mesi” conclude il missionario.