L’incontro è stato promosso da Aiuto alla Chiesa che Soffre che negli ultimi anni ha invitato molti testimoni della Chiesa perseguitata e sofferente a Roma e a Bruxelles per incontrare rappresentanti dell’Unione europea.
«L’Europa può fare più dei singoli stati – ha affermato il religioso che vive a Bozoum ed è direttore della Caritas di Bouar – perché non è limitata da alcun legame con il governo centrafricano. E in quanto comunità fondata su solidi principi, l’Unione ha l’obbligo e la possibilità di fare un ottimo lavoro». In cambio del proprio sostegno, è tuttavia opportuno che l’Ue pretenda alcune condizioni. «Dovreste chiedere a Bangui passi concreti per aiutare la popolazione, perché al momento lo stato è totalmente assente». Il missionario ha spiegato che alcuni dei sedici prefetti, che avevano abbandonato le proprie sedi per ragioni di sicurezza, non sono ancora stati riassegnati. «Un’ulteriore prova dell’inefficienza governativa è il fatto che, dall’indipendenza del 1960 ad oggi, non una singola scuola è stata costruita dallo stato. Tutti gli istituti sono stati realizzati grazie a donazioni».
Padre Aurelio ha poi illustrato l’opera di mediazione svolta in questi mesi di crisi, anche attraverso il dialogo con esponenti della coalizione Seleka e delle milizie anti-balaka. Un lavoro quotidiano che coinvolge leader religiosi e autorità locali. Il religioso ha quindi spiegato come la collaborazione di alcuni centrafricani di fede islamica con la Seleka abbia portato all’erronea identificazione tra musulmani e membri della coalizione ed anche all’esodo di migliaia di musulmani. Un fenomeno che preoccupa particolarmente padre Aurelio: «senza musulmani come possiamo promuovere quella convivenza pacifica di cui il paese ha assolutamente bisogno?».
Nonostante queste tensioni, il missionario ritiene che il conflitto centrafricano non sia di natura religiosa. «In tutti i colloqui che ho avuto con la Seleka e gli anti-balaka nessuno ha mai parlato di religione», ha affermato riconoscendo agli scontri piuttosto motivazioni politiche ed economiche. «Se si trattasse di un conflitto interreligioso non avremmo avuto migliaia di musulmani rifugiati nelle parrocchie e nelle missioni cattoliche», ha aggiunto sottolineando l’importante lavoro svolto dalla Chiesa, che più volte ha sostituito lo stato prendendosi cura della popolazione.
Desta preoccupazione anche il bassissimo livello di sicurezza. «Guidando lungo la sola strada che collega il paese al Camerun, unica via per i rifornimenti, spesso non s’incontra neanche una pattuglia della polizia». A fine aprile a Birao, nei pressi del confine con il Ciad, sono state avvistate circa cinquanta ragazze anglofone e subito si è diffusa la notizia che fossero alcune delle studentesse rapite in Nigeria da Boko Haram. «Non posso dire con certezza che la notizia sia vera – afferma – ma di certo è verosimile perché vi è una totale mancanza di controllo, specie lungo le frontiere».
Padre Aurelio ha concluso il suo intervento con un appello all’Unione europea. «C’è molto lavoro da fare per ricostruire il paese e svegliare la coscienza della gente. Dobbiamo impegnarci perché questa crisi si trasformi in un’opportunità per il Centrafrica. Perché ogni croce porta alla resurrezione». Di Marta Petrosillo
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