Il Centrafrica è lentamente scomparso dai titoli dei giornali ma non perché la situazione sia finalmente migliorata. Anzi. La guerra civile nel paese è in corso da più di un anno e nonostante centinaia di soldati dell’Unione Africana, della Francia, dell’Unione Europea e dell’Onu siano schierati sul campo per riportare la situazione alla normalità, le violenze continuano in modo inesorabile. Lo scorso fine settimana sono stati uccisi e mutilati tre musulmani nella capitale da milizie animiste e in parte cristiane chiamate anti-balaka (antidoto). Queste brigate rappresentano da mesi il principale problema del paese, dopo che le forze internazionali hanno a fatica liberato il Centrafrica dalla presenza dei ribelli della coalizione Seleka, che hanno condotto sotto la guida di Djotodia il colpo di Stato nel marzo del 2013 deponendo l’allora presidente Bozizé e perseguitato i cristiani per otto mesi. La settimana scorsa i ribelli Seleka hanno annunciato di essersi riorganizzati sotto la coordinazione di Abdoulaye Hisseine e di controllare larga parte del nord del paese, nonostante il loro leader Djotodia sia stato costretto dalla comunità internazionale a lasciare la presidenza in favore della nuova guida del paese Catherine Samba-Panza.
Secondo il primo ministro Andre Nzapayeke i ribelli «hanno formato forze irregolari parallele alla polizia e all’esercito e stanno cercando di dividere il paese» in più Stati. Nonostante l’Onu abbia inviato 12 mila soldati di pace in Centrafrica, sotto il nome di Minusca, questi non sembrano in grado di risolvere il conflitto. Secondo Joseph Bidoumi, presidente della Lega centrafricana per i diritti dell’uomo, «le violenze continuano perché i membri della comunità internazionale, le numerose forze dispiegate in Centrafrica, non applicano la risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che chiede il disarmo dei belligeranti». In realtà per ora gli uomini della Minusca, autorizzati ad usare la forza per difendere la popolazione civile, hanno cercato di trovare una soluzione pacifica. La scorsa settimana hanno chiesto a tutte le milizie di entrambe le fazioni in lotta di deporre volontariamente le armi ed entrare in un programma di disarmo e reinserimento nella società. Come prevedibile l’operazione non ha finora prodotto alcun risultato, mentre resta altissimo il «rischio genocidio» e il numero degli sfollati: oltre un milione su una popolazione di 4,6 milioni di abitanti. di Leone Grotti