L’innocenza vuol dire che un’anima non ha nulla di offensivo contro il Signore. Però sai molto bene che l’offesa è il peccato, e il peccato ha due elementi costitutivi e cioè la colpa, è questa la direzione che dall’uomo va a Dio, colpisce Dio – rifiutandolo, si capisce – poi da Dio viene inevitabilmente la punizione, la quale col pentimento può cambiarsi in perdono.
Ma il peccato, la colpa e la pena da parte di Dio, come vengono assolti? La colpa viene assolta soltanto con i Sacramenti: il Battesimo cancella tutti i peccati della vita passata e il battezzato ritorna innocente, qualora fosse battezzato da grande; la Confessione è il Sacramento nel quale proprio si assolvono le colpe.
Però attenzione, mentre nel Battesimo c’è tutta l’assoluzione della colpa e della pena, nella Confessione c’è l’assoluzione soltanto della colpa, purché ci sia il pentimento, il quale è sincero ed efficace quando il penitente comincia a vivere la vita divina senza inquinarla più con i peccati. La pena però non è completamente assolta, tant’è che il sacerdote aggiunge, nella confessione, dirai come penitenza 5 Ave Maria, 10 Ave Maria, un Rosario alla Madonna.
Questa penitenza ha lo scopo, non di togliere il peccato, perché soltanto l’assoluzione del sacerdote rimette il peccato, essa è finalizzata a togliere la pena temporale conseguente ai peccati. Voi sapete che la colpa è l’offesa che l’uomo fa a Dio e ovviamente il peccato comporta questo: si ha la pena eterna dell’inferno se uno morisse col peccato, però qualora ci fosse il pentimento e l’assoluzione, cancellato il peccato, cancellata la colpa viene anche cancellata la pena eterna, mentre la pena temporale viene cancellata parzialmente.
Cos’è la pena temporale? La pena temporale ha il fine di espiare sulla terra tutti quei godimenti che sono stati connessi nella vita con il peccato: qualsiasi genere di peccato, o dello spirito o della carne. Ma dinanzi a Dio noi possiamo essere senza la colpa, cioè senza la pena eterna. Però di tante debolezze della vita passata noi abbiamo meritato la pena temporale. La pena temporale viene espiata con la preghiera e le opere di bene: “la preghiera e l’elemosina cancellano una grande moltitudine di peccati”. Questa pena è finalizzata ad espiare i godimenti che noi abbiamo soddisfatto in maniera ingiusta.
Questi godimenti come dicevo, vengono espiati appunto dalla preghiera, dalle sofferenze, da tutto ciò che è connesso con la volontà di Dio. Nella volontà di Dio sono implicitamente inserite tutte quelle sofferenze che servono a espiare completamente la pena temporale. Una volta che tu accogli la volontà di Dio e la metti in pratica con l’ubbidienza, elimini giorno dopo giorno tutte quelle pene temporali che sono da scontare dopo l’assoluzione.
Esse sono state purtroppo meritate per via dei peccati commessi. Il Signore ama l’innocenza. Propone la sua volontà, qualsiasi tipo di volontà divina: o circa lo spirito come l’umiltà, o circa la carne come la purezza, o circa il lavoro, cioè la fatica per guadagnare il pane, o l’incomprensione, ci sono anche i sacrifici che possono insorgere nell’ambito familiare o di lavoro, ecc.
Tutte queste sofferenze, insieme con la preghiera, l’elemosina (le opere di bene) e il digiuno, sono inglobate nella volontà di Dio per eliminare, per espiare le pene temporali in modo tale da ritornare ad essere innocenti. Qualora tutto questo non fosse possibile nel percorso della vita terrena, noi purtroppo dovremmo espiare queste pene temporali nel Purgatorio, perché lì noi possiamo purificarci sino al punto da recuperare l’innocenza e non avere più nulla che possa offendere il Signore ed entrare in Paradiso. Se noi veramente preghiamo e osserviamo la volontà di Dio, saremo come “alberi che sono piantati lungo il fiume”, per cui restano sempre le foglie verdi. L’albero porta sempre frutti ed è sempre rigoglioso. Qual è il fiume di cui parta il Testo Sacro per cui la tua anima, come l’albero, resta sempre rigogliosa? Qual è il fiume? È Cristo, è Lui la preghiera e la volontà di Dio. Cristo è tutto quello che Lui giorno per giorno ti propone da vivere in famiglia, sul posto di lavoro, nella Chiesa e nella società. Te lo propone perché tu possa essere sempre coerente alla volontà di Dio. Tutto questo è il fiume presso il quale la tua anima rimane rigogliosa, con foglie sempreverdi, con la certezza di produrre sempre frutti deliziosi.
Nel Vangelo noi ci troviamo dinanzi ad una situazione direi contrapposta, e cioè il ricco e il povero. Il ricco, il quale sulla terra ha tutti quanti i beni che utilizza per soddisfare, non soltanto le esigenze naturali, umane, ma anche tutti gli schiribizzi che ha nella sua testa. Con la ricchezza soddisfa tutti i desideri dei suoi istinti e tendenze. Egli non la usa per fare del bene ai poveri. La ricchezza è circoscritta soltanto alle soddisfazioni del ricco. Lazzaro, invece, povero, il quale addirittura – la contrapposizione veramente tocca l’assurdo, ma è Gesù che parla – Lazzaro stava sempre alla porta di questo ricco epulone, e addirittura mangiava di quello che cadeva dalla mensa. E – qui proprio è l’assurdo – era così buono Lazzaro: a differenza del ricco epulone, lasciava leccare il sangue dalle sue piaghe ai cani. Era buono Lazzaro anche verso gli animali, mentre il ricco epulone pensava a soddisfare la sua golosità con cibi e bevande squisite, con mense lautamente bandite; non dava qualcosa a questo poverello che stava alla porta della sala della mensa del ricco. E
cco, questa contrapposizione, è un Vangelo che tocca sempre le soglie dell’assurdità. Un’altra assurdità è questa: una volta che è morto Lazzaro è andato presso il seno di Abramo; poi dopo è morto il ricco “ed è stato sepolto nell’inferno”.
Lazzaro invece stava con Abramo a godere le gioie deliziose del Paradiso, il ricco invece stava nell’inferno, ma è qui l’assurdo. Il ricco pregò il padre Abramo di mandare Lazzaro da lui, dal ricco, per intingere il dito nell’acqua per toccare la sua lingua (lingua del ricco) il quale soffriva una sete terribile, ed era oppresso dalle torture infernali. Chiedeva questo piccolo dono, niente di meno il dito intinto nell’acqua per poter toccare la lingua del ricco epulone il quale non riusciva più a sopportare la tortura, l’arsura dell’inferno. E Abramo rispose: “tu nella vita hai avuto tutto, Lazzaro nulla”.
Il ricco avrebbe potuto anche pentirsi e recuperare l’innocenza. Soddisfacendo tutte le sue bizzarrie e non aiutando i poveri, è morto lontano dal Signore, mentre Lazzaro poverello, è morto in grazia di Dio. Il Signore fa parlare Abramo: “ tu, nella vita hai avuto tutti quanti i beni, tutte le soddisfazioni, questo invece non ha avuto nulla, addirittura non poteva neanche avere le briciole che cadevano dalla tua mensa”.
Rimase sconcertato certamente il ricco per questa giusta risposta di Abramo, e mostrò un po’ di amore fraterno: va bene, io merito questo perché sono stato cattivo nella mia vita, ma ti prego, padre Abramo, di mandare Lazzaro ad avvertire i miei fratelli, perché non facciano come me, altrimenti verrebbero dove io mi trovo, cioè nell’inferno, e – sempre Gesù parla – Abramo risponde: e no, perché se non hanno ubbidito a Mosè e ai Profeti vuoi che ascoltino Lazzaro, se viene da questo mondo, cioè da dove sto io, in Cielo? Non è possibile.
E allora ecco la situazione: niente dito intinto nell’acqua, Lazzaro non poteva andare dai fratelli per avvertire come sarebbero finite le cose al termine della loro vita. Le cose sono tutte così, e cioè che il ricco epulone è andato all’inferno e Lazzaro in Paradiso. Attenzione però, la ricchezza non è soltanto quella del denaro, ma anche la ricchezza che noi abbiamo: quella dell’intelligenza, quella della bellezza fisica, delle capacità di realizzare tante cose; inoltre la nostra anima, la nostra mente, la nostra volontà, i nostri sensi. Ognuno di noi interroghi la sua coscienza: uso la mia ricchezza veramente secondo Dio? forse rubacchi dal Signore qualcosa per soddisfare i tuoi capricci, sia per ciò che riguarda la mente, la volontà, i sensi, e sia in ciò che riguarda le cose che noi dovremmo usare secondo Dio e non secondo lo schiribizzo dei nostri desideri. Noi usiamo i mezzi giusti per raggiungere l’ideale della nostra vocazione cristiana, o perdiamo tempo, o forse usiamo mezzi che non hanno nulla a che vedere con l’ideale che il Signore ci ha proposto come meta da raggiungere? Cerchiamo di usare i mezzi giusti per poter raggiungere l’ideale che il Signore ci ha proposto, sia nella vita terrena, come anche per la vita Celeste? Usiamo l’unico mezzo che abbiamo per raggiungere l’ideale del Regno di Dio: cioè quello di fare sempre e solo la sua volontà? “L’ubbidienza alla volontà di Dio infatti, è la banca dell’amore, dove sono custoditi i preziosi della vita. Le opere buone sono i beni, la carità verso il prossimo ne moltiplica gli interessi.”
di Don Vincenzo Carone
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