Un unico “Statu Quo” regola da più di centocinquant’anni le basiliche del Santo Sepolcro e della Natività, l’oratorio della Ascensione e la Chiesa della Tomba della Vergine. Questo Statu Quo, definito dai “firmani” ottomani del 1852 e del 1853, aveva per scopo quello di mettere fine alle liti tra le comunità cristiane per la proprietà dei Luoghi santi. Regolando le divisioni territoriali e le processioni, il testo ha spento una parte dei motivi di discordia. Centocinquant’anni più tardi, alimenterà le cronache dei media internazionali con le famose liti del 2002 (una sedia spostata all’ombra a causa del gran caldo. Risultato: 11 feriti all’ospedale) e del 2008 (intervento della polizia per separare i protagonisti di una rissa, causata da una porta lasciata aperta durante una processione). Che cos’è dunque questo Statu Quo?
Un poco di storia
In seguito alla conquista islamica, le comunità cristiane hanno vissuto fianco a fianco per secoli, malgrado profonde differenze di dogma, di rito, di lingua.
Una decisione presa da Saladino nel 1187, ha costituito una famiglia musulmana proprietaria delle chiavi e un’altra custode delle porte del Santo Sepolcro. Così che nessuna delle comunità possedesse il Luogo santo e Saladino potesse controllare l’ingresso del Luogo, realizzando così, come “tassa” di passaggio un introito non indifferente.
I Francescani, in Terra Santa dal 1335, acquisirono numerose proprietà nei Luoghi santi. A partire dal coinvolgimento delle potenze occidentali nel conflitto contro l’impero ottomano nel 1622, i Luoghi santi divennero moneta di scambio, lungo i secoli XVII e XVIII, per gli ambasciatori delle potenze occidentali con l’Impero Ottomano di cui i Greci ortodossi erano sudditi.
Nel XIX secolo, il sultano ottomano ha consacrato con due “firmani” lo Statu Quo, regolando anche la contesa circa le proprietà dei Luoghi santi. Ancora oggi è questo Statu Quo il punto di riferimento per regolare i problemi relativi alla gestione dei Luoghi: dalla semplice lampada alla processione, passando per i grandi restauri (come la Basilica della Natività in questo momento).
Un regolamento preciso e irreperibile
Ogni passo, di ogni rito, è regolato con precisione, ma poiché nessun testo ufficiale fu redatto al momento della decisione ottomana, ci si affida agli appunti privati. La tradizione ha fatto il resto e le cose, oggi. sono “fissate sulla pietra”. È l’insieme dei diversi regolamenti interni delle Chiese che fa giurisprudenza. Pertanto lo Statu Quo non interviene nelle liturgie, ma unicamente nello svolgimento delle cerimonie.
Il Santo Sepolcro è occupato da tre Chiese che ci vivono: i Greci ortodossi, che occupano la parte più consistente dell’edificio, i Latini rappresentati dai Francescani, e gli Armeni. Col permesso di questi tre vi si sono aggiunti gli Etiopi ortodossi che abitano sul tetto della cappella di sant’Elena, i Copti e i Siriaci che hanno ottenuto delle cappelle.
Tornando alle porte: il regolamento precisa che una sola delle tre comunità può chiedere di fare aprire la Chiesa. Viene chiamata la famiglia musulmana custode della porta, questa cerca l’altra famiglia per ottenere le chiavi, e le porte vengono aperte. Per le pulizie, il pavimento della chiesa viene spazzato dai Greci che sorvegliano sulla sua proprietà, dal canto loro i latini puliscono i gradini che conducono alla Cappella dei Franchi (a desta dell’ingresso)e le lastre del pavimento vicine ai gradini. La Pietra dell’Unzione, invece, viene pulita a turno da una delle tre comunità. Delle otto lampade che vi sono sospese quattro appartengono ai Greci, due agli Armeni, una ai latini e una ai Copti. Quanto alla cappella dell’Angelo: i due gradini di destra sono in uso esclusivo dei Latini, quelli di sinistra sono riservati ai Greci e agli Armeni. Così è per ogni centimetro quadrato!
Per ogni modifica è necessario l’accordo delle tre comunità residenti. Gli oggetti e la cura sono un segno della proprietà del luogo. Quanto alla famosa scala appoggiata alla facciata da prima dei firmani, nessuno si vuole assumere il ruolo di toglierla a rischio di provocare i fulmini dei vicini che potrebbero ravvisarvi una appropriazione del luogo. Essa è così divenuta il simbolo concreto dello Statu Quo. Nondimeno, ci sono decisioni che provano come la rigidità di questo può essere relativizzata: le comunità, anni addietro, sono riuscite a trovare un accordo per i lavori di riparazione dei tetti della Basilica.
Questo rigore è anche un mezzo per preservare questo luogo unico da interventi strutturali poco meditati. Per padre Stefano, custode del convento di San Salvatore, lo Statu Quo appare:“dapprima come un giogo che evidenzia le divisioni della Chiesa, ma in effetti si tratta di unregolamento necessario perché tutte le Chiese ci si ritrovino. È, questo, un luogo ecumenico che, a mio vedere, non rappresenta la divisione ma bensì incarna, attorno al Luogo stesso della Resurrezione, l’universalità della Chiesa”. Così, riuscendo a raccogliersi, in mezzo a una folla sovente rumorosa, il visitatore o il fedele può provare le medesime sensazioni del pellegrino crociato del XII secolo e percepire le medesime realtà di un Chateubriand nel XIX secolo.
Lo Statu Quo sarebbe allora il garante della Atemporalità della Chiesa cristiana in questi luoghi?
(Una seconda parte dell’articolo prenderà in esame gli aspetti spirituali che scaturiscono dallo Statu Quo)
Eva Maurer Morio
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