Categorie: Ethica et Oeconomia

Chi sono i bambini arcobaleno?

Lori Duron, con il figlio “arcobaleno”

 

New York, la città dei mille volti e sorprese, regala al mondo una nuova moda. Interessa i minori. Con il diffondersi dell’ideologia gender, alcune mamme hanno creato la categoria del  “bambino arcobaleno”. Sono minori nei quali –secondo la descrizione dei genitori-,  ancora non sono chiare le caratteristiche sessuali.  Le mamme quando non riescono a comprendere la direzione del figlio\a  al di là del sesso biologico, dichiarano di essere aperte a “qualsiasi eventualità”. Dunque i loro figli vengono classificati secondo questa nuova appendice ideologica: “non conforming” (non convenzionali), o “creative gender” (di genere creativo). Sul web sono nati diversi blog, gestiti dalle donne che condividono la nuova impostazione educativa, dove raccontano le storie dei figli che non si riconoscono nel “genere” in cui sono stati incasellati dall’anagrafe nel giorno della nascita. In America, in poco tempo i loro siti sono diventati famosissimi, registrando migliaia di visite giornaliere. Queste donne, ricevono addirittura migliaia di lettere, vengono invitate ai talk show televisivi e ricevono premi. Leggiamo alcune storie di “bambini arcobaleno”,

(i nomi dei minori sono di fantasia) trovate sul web:

Lori Duron la più famosa esponente della nuova moda “arcobaleno”, dal suo diario web ha perfino tratto un libro che è già un best seller, intitolato “Raising my rainbow” (crescendo il mio arcobaleno), che come si sa è la bandiera del Gay pride. La donna, moglie di un poliziotto e mamma di due bambini, C.J. e Chase, due anni più grande del fratellino creativo e che – specifica – “ha gli stessi gusti maschili del padre”. Nel suo libro racconta dubbi e tenerezze, la guerra dei giocattoli e quella delle nonne, l’imbarazzo e la curiosità dei fratelli e vicini. “Con altre mamme che mi hanno contattato” dice al venerdì dalla California, dove vive, “organizziamo una merenda, per ora mensile, perché purtroppo abitiamo tutti in città diverse. Facciamo incontrare i nostri bambini per non farli sentire unici, isolati. L’ultima volta si sono messi addosso ogni tipo di stoffa colorata e hanno organizzato una sfilata di moda per noi genitori. Sapesse che festa! Ma lo facciamo anche per non far sentire soli i loro fratelli e sorelle, anche loro invitati a giocare e a confrontarsi”.  Boo ha 7 anni e da quando ha imparato a parlare adora Scooby Doo: così lo scorso Halloween ha chiesto di vestire come Dafne, la protagonista dai capelli rossi del famoso cartone animato. C.J. ha un anno di meno, preferisce le principessa Disney e in generale tutto ciò che luccica. Da quando ha scoperto Barbie, non l’ha più lasciata: e a casa vuol vestire proprio come la sua bambola preferita. Twirl ha 6 anni:

ama la danza e il suo tutù rosa. Di recente ha preso una cotta, l’ha confidato alla mamma: “Mi piace un ragazzino della mia classe….”. E poi c’è Jo, che è appena un po’ più grande. Ha 8 anni e una cotta per Blaine, protagonista della serie tv Glee. Blaine, sì: il personaggio gay. Perché Boo, C.J., Twirl e Jo sono maschi. “Bambini” come spiega candidamente C.J. a chiunque glielo chieda “che amano cose da bambine”. Ecco i bambini arcobaleno ormai famosi in tutta l’America. Jo ha già fatto il suo outing con la mamma: “Ho una cotta per Blaine, quanto vorrei incontrarlo… Sai? Sono gay come lui”.

L’educazione di genere, è pericolosa per lo sviluppo dei bambini.  Gli esempi citati sono spaventosi. Il compito educante degli adulti quando si sottomette ai desideri passeggeri dei bambini, diventa distruttivo per la loro crescita sana e ordinata. I minori, hanno necessità di essere seguiti, amati, indirizzati. Non si può sostituire la natura con le emozioni. E’ vero, tante volte i bambini sono confusi. Il compito degli adulti non è legittimare le “emozioni”, ma spiegarle perché possano comprenderle e staccarsi da esse in maniera non traumatica. La psicologa Maria Rita Parisi, così spiega: “La naturale tendenza ad esplorare il proprio corpo è vissuta dal bambino come una libera ricerca del piacere che il pudore, prima ancora dei sensi di colpa, lo inducono a tenere nascosta. I giochi sessualmente esplorativi, nella cosiddetta fase della latenza (dai sei ai dieci anni), quando hanno un valore di scoperta del proprio corpo e di ricerca di sensazioni, rientrano nella normalità dello sviluppo infantile. Ci sono, però, comportamenti che richiedono un intervento da parte delle figure adulte di riferimento che metta i bambini nelle condizioni di comprendere la consistenza dei gesti che vanno a compiere che possono anche essere, inavvertitamente, autolesivi. Come dire: “la ricerca è concessa ma può avere i suoi rischi e bisogna tutelarsi”. Allora, preoccupiamoci di intervenire anche quando l’autoerotismo del bambino diventa un modo per scaricare la tensione ed assume le forme del comportamento compulsivo: quando, cioè, sottrae tempo ed energie all’interazione con il gruppo dei pari e allo svolgimento di altre attività o, ancora, quando avviene in luoghi inopportuni come a scuola o in presenza di altre persone. Trasmettiamo, dunque, ai bambini il senso importante che acquista l’intimità nei percorsi”. DonSa

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