Diverse recenti prese di posizione dei vescovi e dei sacerdoti statunitensi annunciano una nuova grande mobilitazione dei cattolici americani collegata al Giubileo della Misericordia.
Nel mondo, il bollettino degli “omicidi di Stato” segna notizie buone e cattive. Le positive: lo Zambia ha commutato tutte le 332 sentenze capitali in carcere a vita; sono stati scarcerati i due pastori protestanti che in Sudan rischiavano la morte per blasfemia; il braccio della morte in Belize è vuoto dopo l’ultima commutazione; lo Stato americano conservatore del Nebraska ha detto addio al boia.
Quelle negative: dieci prigionieri decapitati in Arabia Saudita nella prima settimana di agosto; in India si è tornato a uccidere; il Ciad ha reintrodotto la pena di morte come risposta al terrorismo e per lo stesso motivo il Pakistan ha superato i 200 uccisi dal dicembre 2014 (tra cui Shafqat Hussain, per un omicidio commesso quando aveva 14 anni).
Tra buone e cattive notizie, però, c’è una certezza: la Chiesa, dagli Usa al Pakistan, è in prima fila nella lotta per la vita, come chiesto da Papa Francesco, “abolizionista dell’anno” per Nessuno tocchi Caino.
Dagli Stati Uniti, in particolare, è arrivato l’intervento più esplicito e compatto sul tema da quando, nel 1976, la Corte Suprema reintrodusse la pena di morte, provocando la ferma opposizione dell’allora presidente della Conferenza episcopale, il cardinale Joseph Louis Bernardin. Negli anni seguenti non sono mancate singole dichiarazioni e campagne, come quella del 2005, ma la presa di posizione del mese scorso annuncia una nuova grande mobilitazione dei cattolici americani collegata al Giubileo della Misericordia.
«La pena di morte è inammissibile, si tratta di un reato contro l’inviolabilità della vita e della dignità della persona umana», dicono citando Bergoglio. A fine luglio, padre Bernard Bonnot, presidente dell’Associazione dei sacerdoti cattolici degli Stati Uniti (Auscp), ha diffuso un comunicato in cui esprime «il pieno sostegno nella preghiera e nella testimonianza pubblica» alle posizioni dei vescovi contro la pena capitale. In un sondaggio interno, lo scorso aprile il 99% dei sacerdoti aveva chiesto all’associazione di sostenere l’appello abolizionista di Papa Francesco.
L’intervento dell’Auscp segue di pochi giorni la nota “Per costruire una cultura della vita, la pena capitale deve essere abolita” della Conferenza episcopale statunitense (Usccb), in occasione del decennale della campagna del 2005.La firma è di monsignor Thomas Wenski e del cardinal Sean O’Malley, arcivescovi di Miami e di Boston, rispettivamente presidenti della Commissione per la giustizia e lo sviluppo umano e del Comitato in favore della vita. Auspicano che nel Paese si smetta di «cercare di insegnare a non uccidere, uccidendo gli assassini», perché «questo circolo vizioso di violenza sminuisce tutta l’umanità».
Non importa, quindi, «quanto sia odioso il reato: se la società può proteggere se stessa senza porre fine a una vita umana, allora deve farlo, perché oggi c’è questa capacità». Inoltre, «l’opposizione dei cattolici alla pena capitale si radica nella misericordia: la fede offre una prospettiva unica sul crimine e sulla punizione, una prospettiva basata sulla misericordia e sulla salvezza, non sulla condanna in se stessa». Sempre «a favore della vita, perché offre un’opportunità di conversione anche al peccatore più incallito».
I vescovi invitano quindi a «riconoscere la dignità umana di coloro che hanno commesso un reato, poiché anche quando devono pagare il loro debito alla società, essi devono riceve compassione e misericordia».
Non vuol dire che la Chiesa sia insensibile alla sofferenza delle famiglie delle vittime (negli Usa è stata accusata di «una certa indifferenza nei confronti della criminalità e degli attacchi alla vita umana»). Anzi, la contrarietà all’omicidio di Stato è proprio «l’affermazione della sacralità della vita, addirittura per coloro che hanno commesso i crimini peggiori». Citano il caso dell’arcivescovo di Kansas City Joseph Naumann, che, quando suo padre è stato assassinato, ha spiegato: «Il nostro rifiuto al ricorso alla pena di morte non è motivato dal non vedere l’orrore del crimine commesso, ma dal rifiuto di imitare la violenza dei criminali».
Nel frattempo, anche grazie alle posizioni della Chiesa, negli Usa prosegue il lungo cammino per abolire l’omicidio di Stato. Nel 2015 sono stati 19 i condannati ammazzati, quasi tutti in Texas e Virginia, mentre altri 14 sono in lista d’attesa entro dicembre. Ma se anche il totale di quest’anno raggiungesse il numero di 33, sarebbe nettamente inferiore ai 98 eseguiti nel 2000 e il totale più basso dal 1990.
I sondaggi indicano che soltanto una maggioranza di adulti anziani, maschi e femmine, resta fervidamente favorevole al boia, ma il sostegno crolla fra chi ha meno di 30 anni, un bel segno di speranza per il futuro.
Redazione Papaboys (Fonte www.famigliacristiana.it/Stefano Pasta)