A quattro anni hanno ammazzato suo fratello e sua sorella davanti ai suoi occhi, a 12 gli hanno messo in mano una pistola ed è diventato un bambino-soldato nelle fila della “guerrilla”. A El Salvador, negli anni ’80 non era possibile essere bambini. Christian Chavarria Ayala ha conosciuto la povertà, la fame, la guerra civile, l’esilio.
Oggi dice: “Sento che ho avuto una vita benedetta, sono grato di questa vita che Dio mi ha dato e per tutto quello che ho adesso”. Christian è un artista, dipinge soprattutto croci. Usa colori sgargianti, tipici della sua cultura, ma non solo: “I colori sono quelli con cui Dio ha dipinto il nostro mondo. Siamo noi che li trasformiamo in nero o grigio con le nostre azioni”. A lui è stato chiesto di dipingere la grande croce per la Joint Ecumenical Commemoration del 31 ottobre a Lund (Svezia) per i 500 anni della Riforma protestante. “Il mio paese è uno dei posti più pericolosi al mondo. È bello poter dire che facciamo anche cose buone. Ancora abbiamo fede, speranza, ancora vogliamo combattere per la giustizia e la pace”.
Così si racconta Christian: “Ho vissuto in un campo per rifugiati per otto anni e lì ho cominciato a dipingere. Ho sempre sentito le persone intorno a me dire che la vita è portare la croce ogni giorno. Hanno ammazzato la nostra gente – fratelli, sorelle, madri, padri, nonni, vicini, amici. La vita è stata crudele, dolorosa. Ma tutto questo poteva essere trasformato in qualcosa di migliore. La croce che portiamo dobbiamo trasformarla in simbolo di speranza, di fede, di vita”. Christian non è stato bambino: “L’infanzia l’ho persa da qualche parte nelle montagne di El Salvador”. Christian racconta la fuga, con la famiglia, fino all’Honduras, con i soldati che sparavano da entrambi i lati del fiume che scorre al confine. È stata una carneficina, ma Christian e la sua famiglia si sono salvati e hanno raggiunto un campo profughi dove hanno vissuto sette anni. Quando tornano a El Salvador, Christian è pieno di rabbia e di sete di vendetta. Come tanti. Tutti hanno visto uccidere un fratello, un genitore, un amico. Viene arruolato nella guerriglia e buttato in mezzo alla mischia senza alcuna precauzione.
Un episodio lo ha segnato: “Un giorno due miei amici sono stati uccisi da una bomba. Io urlavo, mia madre e altri pregavano. Ero arrabbiatissimo, gli ho detto: come potete pregare un Dio che non ci ascolta? Dio è crudele! Mia mamma mi ha detto: ‘non devi incolpare Dio, non è Lui che sta facendo questo. Come Dio lavora in mezzo a noi, anche il Diavolo lavora attraverso gli uomini. Nella vita attraverserai tante difficoltà ma non incolpare mai Dio, invece ringrazialo e sii misericordioso. Se vuoi vedere Dio guarda negli occhi dei tuoi amici, dei tuoi vicini, lì c’è Dio; ma guarda anche negli occhi dei tuoi nemici e forse potrai vedere Dio nei tuoi stessi occhi, nel tuo cuore’. Avevo 11 anni”. Christian arriva nella capitale in modo rocambolesco. Vuole trovare un lavoro e aiutare la sua famiglia. Ma soprattutto “volevo studiare e cambiare il mio paese in un modo diverso dalla violenza”. Ritrova la Chiesa luterana, che aveva accompagnato la sua famiglia negli anni della fuga, dell’esilio e del ritorno in patria. “La Chiesa luterana è il modo che Dio ha usato per salvarmi. Mi hanno mandato a scuola. Aiutavano le persone a prescindere dalla loro fede, le vedevano come persone di Dio. Mi piaceva questo e ho deciso di confermare la mia fede”.
Nella croce che gli è stata commissionata per la Joint Ecumenical Commemoration la base sono le mani di Dio che reggono e abbracciano il mondo. Da qui nasce la vite, i cui tralci sono il popolo di Dio. La vite è poi collegata al fonte battesimale, nel quale l’uomo rinasce. Salendo si arriva al banchetto “a cui Dio invita tutti, non importa da dove vieni o qual è la tua religione, di che colore sei, se sei uomo o donna, perché tutti siamo figli di Dio. Dio ci invita al banchetto, non ci chiede: sei luterano? Sei cattolico?”. L’incarico lo ha sorpreso e riempito di gratitudine. Dice: “Voglio continuare a impegnarmi per la pace, dare speranza alla gente che pensa di averla perduta. Se abbiamo fede, abbiamo speranza; se abbiamo speranza possiamo vivere; se abbiamo vita, Dio è in noi; se Dio è in noi abbiamo amore e l’amore deve abbattere i muri che ci separano. Sono così contento per questo riavvicinarsi delle nostre chiese! Dio ci sta parlando”.
Redazione Papaboys (Fonte it.aleteia.org/Marinella Bandini)
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