Categorie: Pax et Justitia

Cina – Tienammen: 25 anni dopo ancora uno studente in carcere

Oggi, 4 giugno 2014, si celebra in Cina il 25esimo anniversario del massacro di piazza Tiananmen. O meglio, non si celebra visto che è dal 1989 che il partito comunista cinese impedisce a chiunque di commemorare l’evento. Neanche i familiari delle oltre 2 mila persone uccise dai carri armati che il governo mandò in piazza per sedare la protesta degli studenti possono ricordare i loro cari morti. Anche quest’anno le autorità comuniste hanno lanciato un’ondata di arresti preventivi nei confronti di attivisti e reduci per impedire che venga criticato il partito o detta pubblicamente la verità. Per la prima volta, però, è stato fatto sparire anche Bao Tong, 81 anni, nel 1989 collaboratore di Zhao Ziyang, il segretario del partito comunista che cercò invano di convincere i suoi compagni a non uccidere gli studenti e per questo venne poi epurato. Ogni anno, quando si avvicina il 4 giugno, la polizia invita Bao a prendersi una “vacanza” fuori Pechino. Quest’anno invece è stato prelevato da casa sua e portato via. Neanche il figlio Bao Pu sa dove si trovi.

Delle oltre 1.600 persone arrestate nel 1989 per “crimini controrivoluzionari”, solo una è ritenuta essere ancora in carcere: Miao Deshun. Operaio di Pechino, è stato denunciato per aver lanciato un cestino contro un carro armato in fiamme. Condannato a morte, la pena è stata sospesa e commutata in ergastolo. Grazie a un successivo sconto, dovrebbe uscire il 15 settembre 2018, dopo 29 anni di prigione. Ma nessuno sa se sia ancora vivo. Gli studenti imprigionati insieme a lui lo ricordano taciturno e magrissimo: «Tutti eravamo incatenati per le caviglie essendo condannati a morte. Lui no. Le guardie pensavano che essendo così magro non avrebbe potuto camminare con le catene, che erano troppo pesanti»,

racconta alla Bbc Dong Shengkun, suo ex compagno di cella. Miao, continua, non ha mai voluto firmare le lettere pre-compilate dal regime in cui gli studenti di Tiananmen riconoscevano le proprie colpe. Non ha neanche mai accettato di andare nei “campi di rieducazione attraverso il lavoro” perché non pensava di dover essere rieducato. «Non ha mai voluto ammettere di aver sbagliato», sintetizza Sun Liyong, che oggi vive in Australia e raccoglie fondi per i reduci di Tiananmen. «L’ultima volta che è stato visto da qualcuno di noi è stata dieci anni fa». Miao ha anche rifiutato le visite dei parenti, «che abitavano lontano e lui non voleva che viaggiassero per lui. L’hanno visto l’ultima volta, poi più niente», continua Zhang Baoqun, che si è più volte trovato nella cella davanti a quella di Miao. «Le autorità lo trattavano come se fosse pazzo, ho sentito che l’hanno trasferito a Yangqing», dove si trova un istituto per malati di mente. Nessuno si stupisce che Miao sia ancora in carcere a 25 anni di distanza da quei fatti: «Non sono affatto sorpreso», afferma Dong Shengkun. «Sono passati 25 anni ma le autorità possono incarcerarti come vogliono in ogni momento. Così tante persone si sono sacrificate [per questo paese]. Ma non hanno sacrificato le loro vite per la società materialista di oggi». di Leone Grotti

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