Cina, in almeno quattro province, i bambini e i ragazzi non possono entrare in chiesa. Non per motivi disciplinari e non c’entra neppure la moda no kids. C’entra la repressione del regime comunista, che si fa di giorno in giorno più dura, nonostante l’ottimismo che circonda il dialogo con la Santa Sede.
Ci sono sparse notizie di circolari emesse dai governi comunisti locali che vietano, sul territorio della propria provincia, sia l’educazione religiosa dei minorenni, sia il loro accesso in chiesa. Il divieto riguarda indistintamente cattolici e protestanti. Secondo quanto riporta l’agenzia Ucanews, nel distretto di Yonglin, a Wenzhou (provincia di Zhejiang) “Una nota urgente delle autorità superiori vieta rigorosamente ai bambini, agli allievi della scuola primaria e a quelli della secondaria e ai insegnanti, di andare nelle chiese cattoliche e protestanti”. Lo Zhejiang è una provincia con una forte presenza cristiana. I comitati di quartiere sono mobilitati per vegliare sull’applicazione della nuova misura e scoraggiano i genitori dal portare a messa i loro bambini. Pare che finora gli effetti non siano quelli desiderati dal governo, perché ugualmente la processione che si è tenuta il 15 agosto era piena di bambini, secondo quanto riferiscono le fonti dell’agenzia. Ma il divieto è lì, nero su bianco. E non è un caso unico. Una norma locale analoga è stata emessa in un altro distretto di Wenzhou: si spiega, in quel caso che “l’educazione religiosa dei minori troppo vicina alle chiese, danneggia gravemente il normale corso del sistema educativo”. In almeno due casi, uno sempre a Wnzhou e l’altro a Wuhai, nella Mongolia interna (Cina settentrionale), sono stati chiusi campi estivi religiosi. Episodi e direttive simili sono riportate anche nella provincia di Henan (Cina orientale), dove a luglio è stata emessa la direttiva “Separare l’educazione dalla religione”. Un sacerdote riferisce di aver dovuto frequentare un corso di aggiornamento riguardo questa direttiva e che non ci sia spazio alcuno per le interpretazioni. A Changsha, nella provincia dello Hunan (Cina centrale), il locale direttore dell’ufficio educazione, Liang Guochao, ha anche realizzato un video in cui denuncia “l’infiltrazione della religione nell’educazione dei minori” e annuncia nuove direttive contro l’educazione religiosa.
Come si vede, le direttive sono tante, variegate e locali ma hanno tutte il medesimo obiettivo: i bambini non devono ricevere un’educazione religiosa. Non devono neppure esserne influenzati entrando in una chiesa. Coerente con il programma del presidente Xi Jinping che sta cercando di scacciare “influenze straniere”, fra cui la religione cristiana. O si “sinicizza”, cioè adotta un carattere puramente cinese, o viene combattuta. Fa parte di questa campagna anche l’abbattimento delle croci “troppo visibili nel paesaggio urbano” e delle chiese, dietro ogni scusa. Proprio a fine agosto è iniziato un braccio di ferro fra governo locale e fedeli, sull’abbattimento della chiesa di Santo Stefano a Wangcun, nella provincia dello Shanxi (Cina settentrionale, non lontano da Pechino). Le immagini drammatiche di un video girato sul posto e diffuso in Italia dall’agenzia missionaria Asia News, mostrano gruppi di fedeli cattolici che cercano di fermare la demolizione della loro chiesa. Come si vede dal video, i fedeli gridano “Gesù salvami!” e “Madre Maria, abbi pietà di noi!”, mentre ostacolano i lavori del bulldozer e l’operato dei poliziotti. Le autorità di Wangcun hanno infine bloccato i lavori di demolizione per tornare a trattare col popolo. I cattolici, circa un migliaio, hanno continuato a presidiare l’area della chiesa, con un sit in, pur subendo pressioni, intimidazioni e pestaggi da parte di teppisti in abiti civili ma palesemente collusi con la polizia locale.
In precedenza il governo aveva dato il permesso di restaurare la chiesa, un piccolo gioiello dei primi decenni del secolo scorso. Santo Stefano era stata riconsegnata nel 2012 alla diocesi in obbedienza alle leggi cinesi. I fedeli avevano cominciato il restauro, ma pochi mesi fa il governo locale aveva cambiato improvvisamente idea, decidendo di espropriare il terreno per costruire una piazza. “Dopo la demolizione si costituirà una piazza per arricchire la vita del popolo”. Ora la situazione resta molto tesa, nonostante il blocco dei lavori di demolizione. Nel tentativo di fermare le comunicazioni fra i fedeli, il 31 agosto è stato bloccato l’uso dell’app Wechat, una specie di Whatsapp cinese. Anche il sito della diocesi è stato oscurato. Fino al 30 agosto dava notizie sul sit in con immagini e filmati, anche delle violenze subite da fedeli e sacerdoti ad opera di teppisti all’ordine del governo locale.
Se la repressione aumenta, i cinesi che si convertono al cristianesimo fuggono in Italia, in cerca di libertà di religione. Si convertono a una miriade di confessioni diverse, almeno 14, fra cui molti culti e sette cristiane mai riconosciuti o apertamente perseguitati dal regime cinese. Ma spesso li accoglie una non lieta sorpresa, come spiega ad Asia News Francesco Portoghese, dell’associazione A Buon Diritto (Abd): solo 5 su cento ottengono lo status di rifugiato, gli altri sono respinti. Secondo il rapporto di Abd il numero di cinesi in fuga per motivi religiosi è quintuplicato. Secondo lo stesso rapporto “Essi abbandonano tutto per non rinunciare alla fede, abbracciata per sfuggire al materialismo imposto dal regime”. In molti casi, rinunciano al lavoro e rischiano la vita. Molti sono stati arrestati e hanno subito torture. Maria (nome scelto dalla signora all’arrivo in Italia) ha raccontato di essere stata catturata in Cina mentre evangelizzava e di essere stata portata in caserma, dove è stata “ustionata con acqua bollente” e le è stato “inciso il dorso delle mani con delle lame”. Invece, G. è “stato picchiato sulla schiena con un bastone in modo così violento da essere svenuto per il dolore… perché si rifiutava di rispondere alle domande riguardanti i responsabili e i fondi della Chiesa domestica”. Non potendo presentarsi a un ospedale per le cure G. si è ritrovato con una disfunzione del 25% al rene sinistro.
Nonostante tutto, nel 95% dei loro casi, non viene presa in considerazione neanche la protezione sussidiaria. Perché, spiega il rapporto Abd: “dichiarazioni incomplete o contraddittorie, la scarsa conoscenza dei culti che si afferma di praticare (sono almeno 14 le confessioni cristiane dei neo-convertiti, in molti casi neppure riconosciute) e i dubbi sulla fuga dal Paese”. Ma c’è da dire che il rapporto Abd contesta l’utilizzo di una traduzione “stringata e che a tratti appare approssimativa e superficiale”, in cui alcune dichiarazioni dei richiedenti vengono travisate, riportate in maniera incompleta e talvolta neanche registrate” Per i cristiani cinesi, le porte dell’Italia, il paese dell’accoglienza, si aprono molto difficilmente.
Fonte lanuovabq.it
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