In “Come parlare di Dio oggi? Anti-manuale di evangelizzazione” Fabrice Hadjadj svela alcune strategie interessanti per comunicare la Parola di Dio.. Quale è il modo più efficace di parlare di Dio oggi? Rivolgendosi sopratutto ad un ateo o un agnostico in quale modo potremo suscitare interessa e magari stimolare la conversione. In “Come parlare di Dio oggi? Anti-manuale di evangelizzazione” (Edizioni Messaggero Padova) Fabrice Hadjadj ci offre delle “soluzioni” a queste domande. Vediamo cinque modi con cui si può stabilire una comunicazione efficace.
«Parlare di Dio non vuol dire parlare d’altro, scrive Hadjadj, deve perciò esistere una modalità in cui l’Uno si enunci attraverso gli altri e gli altri si affermino grazie all’Uno; una modalità in cui “Dio” non sia lanciato come una parolona in mezzo a paroline, ma faccia segno in direzione della fonte silenziosa che dà fiato e musica a tutta la frase».
Soltanto una modalità del genere «ci può impedire di parlare di Dio come di una Super cosa, impedendoci inoltre di parlare delle cose in maniera banale. Si tratta infatti di parlarne in maniera divina». Facendo un esempio calcistico, «la cosa suonerebbe così: “Qual è il goal del goal?”». O «a proposito di una bella ragazza», ci si potrebbe chiedere «”Qual è il senso della sua vita?”, “Perché la bellezza del suo corpo parla così misteriosamente alla mia anima?”».
Mai banalizzare, dunque, o essere superficiali, ma nemmeno rendere il discorso come un qualcosa di complicato e inarrivabile. Parlare di Dio vuol dire perciò «parlare della Parola, e in maniera ancora più fondamentale significa mettersi in ascolto della Parola nel cuore della chiesa».
Parlare di Dio, prosegue Hadjadj, «vuol dire anche amare, in maniera indissociabile, colui a cui ne parliamo, perché vuol dire riverberare su di lui la Parola che gli dà l’esistenza e che quindi desidera infinitamente che lui esista».
L’autore fa l’esempio del missionario che si trova di fronte una persona ostile. «Vengo ad annunciargli la Parola di Dio, ma visto che tale Parola mi dice che Dio è provvidenza, mi tocca ammettere che questo tipaccio, me lo piazza in mezzo alla strada Dio stesso. Di conseguenza, devo innanzitutto onorarlo questo tipaccio, devo riconoscere che, anche se mi sta parecchio antipatico (…) ammirare la poesia del suo faccione o l’enigma della sua esistenza»
Basta adottare questa giusta prospettiva «e ogni fanfarone si rivela essere Parola di Dio. Certo, non tanto per via delle intenzioni ostili, quanto per la sua presenza. È la Parola di Dio a conferirgli l’essere. È l’amore di Dio che lo trae fuori dal nulla».
Dio, dunque, è presente nel più anticristiano degli uomini, «forse non con la presenza di grazia, ma per lo meno con la presenza di creazione, con la presenza d’immensità, tanto che, nel momento in cui parlo di Dio con il mio nemico, devo aver coscienza che Dio è impegnato interamente a creare il mio nemico con amore».
Una posizione decisamente «destabilizzante», nota Hadjadj. «Mi tocca parlargli di Dio lasciandomi prima interpellare da lui, rifiutarne l’ignoranza accogliendone la presenza, contestarne l’inimicizia attestandone la bontà originaria. Ed è proprio lo stupore davanti alla sua bontà originaria, al di là della nostra antipatia iniziale, che può permettermi di dominare fino al cuore del nemico».
E’ fondamentale che «il messaggero di Dio non ha paura di rendere testimonianza davanti a colui che è apparentemente lontanissimo dalla fede (niente di meglio, per seguire i passi di Paolo, che l’aver cominciato col lapidare qual che santo)».
Flickr/Maira Gabriele Prudente/CC
L’evangelizzatore oggi corre il rischio, osserva l’autore, di diventare un clown, «per via della sproporzione tra ciò di cui parla e ciò che lui è: la sua bocca è troppo piccola per l’infinito, il suo cuore troppo stretto per l’amore senza misura. Si è rivestito di Cristo, ma è come l’Augusto nel suo abito troppo grande, vi si perde dentro, inciampa, i piedi si impigliano nei pantaloni troppo lunghi e patapum!».
il cristiano, evidenzia sarcasticamente Hadjadj, «non cerca di far ridere, ma è ridicolo a proprie spese. Per forza, lo Spirito è molto spiritoso. Pensa al mistero della Trinità: un solo Dio, e va bene, ma in tre Persone! Pensa al mistero dell’incarnazione: quell’uomo che mangia il pesce come noi cercando di non ingoiare nessuna lisca, è il Verbo eterno!».
Ma allora come parlare di Dio senza sembrare un clown? Può avvenire testimoniando devo testimoniare la misericordia «mentre passo accanto a un barbone il cui odore mi fa venir voglia di vomitare», cantando «il corpo trasfigurato quando soffro di emorroidi», dcicendo che «Dio è presente ovunque quando nessuno lo vede e io stesso ho spesso delle assenze».
Parlare di Dio oggi significa promuovere a chi si ha di fronte, una «conversione del cuore e dello sguardo». «Non si può trattare di un grande spettacolo che affascini lo sguardo senza cambiarlo e neppure di una grande potenza che soggioghi il nostro cuore senza convertirlo. Dio – sottolinea l’autore di “Come parlare di Dio oggi” – vuole insegnarci l’umiltà, la mano sinistra che ignora quel che dona la destra, per questo predica con l’esempio, essendo umile, dandoci solo segni discreti, facendo il bene senza strombettarlo sulle piazze, con una generosità tale da poter pensare che i suoi doni bastino da soli e che quindi non abbiamo più bisogno del donatore».
Redazione Papaboys (Fonte it.aleteia.org/Gelsomino Del Guercio)
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