Tra i clamori mediatici degli ultimi giorni, è passato in sordina un intervento importante di Papa Francesco in occasione del 50° anniversario dell’istituzione del sinodo dei vescovi per volontà del beato Papa Paolo VI. Esponendo l’urgenza e la natura teologica del processo sinodale, il Papa ha pronunciato una frase decisiva: Quod omnes tangit ab omnibus tractari debet- ciò che riguarda tutti, deve essere risolto da tutti.
In realtà è un principio del diritto giustinianeo, mutuato dalla Chiesa cattolica, la quale nel III secolo eleggeva i vescovi alla luce del consenso popolare. Il concilio Vaticano II ha ripreso alcune categorie tipiche di quel contesto storico e papa Francesco le sta traducendo nella prassi ecclesiale odierna. La componente gerarchica della Chiesa (vescovi e presbiteri) che possiede i tria munera (governare, insegnare e santificare) vive un ministero a favore del popolo e non un incarico prestigioso e amministrativo. Un pastore tanto più esercita l’autorità ricevuta quando la dispone a servizio dei fratelli.
“Dai sacerdoti i laici si aspettino luce e forza spirituale. Non pensino però che i loro pastori siano sempre esperti a tal punto che ad ogni nuovo problema che sorge, anche a quelli gravi, essi possano avere pronta una soluzione concreta”. (GS,43)
La riforma che la Chiesa oggi si trova a vivere passa proprio attraverso la riscoperta del sentirsi Chiesa sinodale, cioè popolo di Dio in cammino: fedeli, presbiteri, vescovi e papa. Riscoprire cioè la spiritualità evangelica del servizio e non del potere in nome di Dio. Questa spiritualità ecclesiale della comunione si serve del dialogo:
“Non si salva il mondo dal di fuori; occorre, come il Verbo di Dio che si è fatto uomo, immedesimarsi, in certa misura, nella forme di vita di coloro a cui si vuole portare il messaggio di Cristo, occorre condividere, senza porre distanza di privilegi, o diaframma di linguaggio incomprensibile, il costume comune, purché umano e onesto, quello dei più piccoli specialmente, se si vuole essere ascoltati e compresi. Bisogna, ancor prima di parlare, ascoltare la voce, anzi il cuore dell’uomo; comprenderlo e per quanto possibile rispettarlo e dove lo merita assecondarlo. Bisogna farsi fratelli degli uomini nell’atto stesso che vogliamo essere loro pastori e padri e maestri. Il clima del dialogo è l’amicizia. Anzi il servizio”. (Paolo VI, Ecclesiam suam,49)
Quod omnes tangit ab omnibus tractari debet – ciò che riguarda tutti, deve essere risolto da tutti.
Il Vaticano II si è preoccupato di consegnarci una Chiesa- soggetto, cioè partecipe in prima istanza delle scelte e della vita pastorale. Un sinodo sulla famiglia, non può non avere come soggetto la famiglia stessa. La famiglia infatti in virtù del sacramento del matrimonio partecipa alla missione della Chiesa insieme a tutto il popolo di Dio, il quale è infallibile nel credere. Questa infallibilità fa riferimento al senso della fede che appartiene anche al battezzato più peccatore. Non casualmente papa Francesco esorta i pastori a stare talora dietro il gregge, il quale “possiede un proprio “fiuto” per discernere le nuove strade che il Signore dischiude alla Chiesa”. (Papa Francesco, Commemorazione 50° anniversario istituzione sinodo dei vescovi). La consultazione dei fedeli dunque non avviene soltanto attraverso gli organismi stabiliti dalla Chiesa: sinodi diocesani, consigli diocesani o pastorali, ma attraverso una attenta pastorale che parta dall’ascolto della Parola di Dio e del cuore dell’uomo che vive, soffre e spera nel nostro tempo. E non tutto quello che i nostri contemporanei vivono è da giudicare o cestinare, ma spesso sono già predisposti alla vita cristiana. (K. Rahner parlava di cristiani anonimi).
“In modo proporzionato alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono, essi hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli, salva restando l’integrità della fede e dei costumi e il rispetto verso i Pastori, tenendo inoltre presente l’utilità comune e la dignità delle persone”. (Can.212-§3)
Non si tratta pertanto di mettere in discussione l’autorità che Gesù Cristo stesso ha dato agli apostoli e quindi invalidare la successione apostolica, ma di rileggere la collegialità alla luce del contributo che il popolo di Dio può e deve fornire. Essere pastori con l’odore delle pecore vuol dire proprio questo: permettere al pastore di lasciarsi evangelizzare dal popolo, lasciar esercitare la loro autorità di battezzati, in modo che il magistero sia davvero la voce della Chiesa per ogni uomo e non l’espressione isolata di una casta.
Non risulta possibile pertanto tenere ancora ai margini la donna all’interno degli organismi decisionali della Chiesa: ridurre le suore a semplici esecutrici di lavori oppure assecondare le tante donne di buona volontà ad una presenza liturgica o rappresentativa che non faccia esprimere il suo genio a livello di scelte e prassi pastorale.
“Credo che noi non abbiamo fatto ancora una profonda teologia della donna, nella Chiesa. Soltanto può fare questo, può fare quello, adesso fa la chierichetta, adesso legge la lettura, è la presidentessa della Caritas … Ma, c’è di più! Bisogna fare una profonda teologia della donna. Questo è quello che penso io”. (Papa Francesco, Conferenza stampa durante il volo di ritorno da Rio)
Come anche non possiamo sottovalutare la voce dei poveri che sono i più vicini al Signore, degli operai che conoscono la fatica del lavoro e la paura di perderlo, dei giovani che ricchi di sogni possono continuamente rendere nuova la Chiesa e purificarla con il loro spirito critico. Non si tratta di rendere democratica la Chiesa, perché è guidata solo dallo Spirito di Gesù ma semplicemente di accogliere ciò che Dio rivela anche e soprattutto al popolo santo di Dio. Compito della gerarchia dunque sarà quello di vagliare, valorizzare e comunicare ciò che lo Spirito suggerisce alla samaritana, al povero, a Levi il pubblicano, al centurione, alla povera vedova che offre il poco che ha…
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di Roberto Oliva
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