Sale oggi agli onori degli altari nella Basilica di San Giovanni in Laterano a Roma, dove morì nel 1930, la fondatrice delle Apostole del Sacro Cuore di Gesù. Alla cerimonia, come rappresentante del Papa, il cardinale Angelo Becciu, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi
Una donna che poteva avere tutto dalla vita, agi, ricchezze e una bella famiglia, ma che ebbe molto di più: “Dio solo”, come diceva il suo motto, perché è amando il Suo Santo Cuore e insegnando agli altri ad amarlo che visse tutta la sua vita, pur tra mille difficoltà. Madre Clelia Merloni, la fondatrice delle Apostole del Sacro Cuore di Gesù, viene beatificata oggi proprio per la sua adesione alla volontà di Dio e il suo abbandono alla Divina Provvidenza: questo il cammino da lei indicato verso la santità.
Quando il padre di Clelia, trasferitosi in Liguria, ebbe finalmente fortuna, non fece mancare nulla a sua figlia: l’insegnamento delle lingue, quello del pianoforte; sognava per lei un buon marito… ma i sogni della giovane Clelia erano altri. Anzi, uno solo: unirsi a Gesù. Nel 1883 entrò nella Congregazione delle Figlie di Nostra Signora della Neve a Savona, ma dopo quattro anni dovette rientrare in casa per malattia.
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Nel 1892 ci riprovò a Como con le Figlie di Santa Maria della Provvidenza, ma dopo una miracolosa guarigione dalla tubercolosi capì che neppure quello era il posto giusto per lei e tornò ancora una volta nella casa paterna. Qui, però, soffriva molto: oltre a continuare a sentire, forte e chiara dentro di sé, la chiamata del Signore a cui non sapeva più come rispondere, aveva promesso a se stessa di condurre verso Gesù anche suo padre, ormai ateo e per giunta massone.
La situazione si sblocca con un sogno premonitore: una notte a Clelia appare la città di Viareggio, dove non era mai stata, e capisce che è lì che il Signore vuole mandarla, è lì che dovrà seminare il suo amore per il Cuore di Gesù. Il 24 aprile 1894 si mette in viaggio senza nulla, tranne la fedele amica Elisa a cui si aggiungerà presto anche Giuseppina. Le tre, poco più di un mese dopo, inaugureranno l’istituto delle Apostole del Sacro Cuore di Gesù in una casa al centro della città messa a disposizione dai Frati Minori che le avevano accolte. Presto le tre suore apriranno una scuola, fedeli alla missione che fu di Santa Maria Alacoque: far conoscere e far amare il Sacro Cuore di Cristo.
“Portate a tutti un raggio della tenerezza del Cuore di Gesù”. Questo raccomandava Madre Clelia alle sue consorelle assieme alle quali era impegnata nelle opere di carità e di educazione, molte dedicate alle giovani donne. Riteneva l’educazione un’arte gioiosa, che consiste nella promozione integrale della persona umana e come tale è opera d’amore. Non si stancava mai di capire i bisogni degli altri, dei quali imparava a interpretare il linguaggio e riteneva che alla base di tutto ci fosse la necessità di un modello da seguire, una figura paterna o materna e, in definitiva, un grande bisogno di affetto.
Madre Clelia indirizzava la sua opera educativa innanzitutto verso le altre suore, spingendole a formarsi bene e a essere credibili, in un’epoca in cui la società era ancora molto maschilista; per tutta la vita, infine, incarnò quel “chicco di grano che muore per donare la vita” tenendo uno sguardo speciale sulle donne povere e ignoranti, le più vulnerabili e sfruttate. Le sue attività apostoliche coinvolsero per prime le orfane, le anziane, le donne malate, sole e le bambine abbandonate.
A un certo punto qualcosa si rompe nella vita di Madre Clelia: a causa di una cattiva amministrazione i beni della Congregazione – che aveva acquistato grazie alla cospicua eredità del padre, convertitosi in punto di morte – devono essere venduti e lei, per non accusare il sacerdote incaricato, assume su di sé tutte le colpe della mala gestione. Inizia per lei un lungo periodo di buio: non viene più consultata sulle questioni riguardanti l’Istituto che nel frattempo cambia titolo e vengono pubblicate nuove Costituzioni.
Oltre a essere rimossa dal suo incarico di madre superiora, Clelia deve subire il dolore di vedere le sorelle a lei fedeli espulse dall’istituto: è a questo punto che decide di allontanarsi volontariamente. Inizia per lei una vera e propria via del Calvario: l’esilio parte da Torino e tocca Roccagiovine e Marcellina; solo molto più tardi le sarà concesso di rientrare. Ormai vecchia e stanca, Clelia trascorre a Roma gli ultimi due anni della sua vita in una stanzetta molto lontana dal resto della comunità, ma affacciata sulla Cappella.
Qui avviene la sua nascita al cielo, il 21 novembre 1930, festa della Presentazione della Beata Vergine Maria, pronunciando le parole: “Signore, vieni… Gesù!”. Aveva saputo trasformare la via dolorosa in via dell’amore, perché pur conoscendo la persecuzione, la calunnia e la diffamazione, rivelò sempre pazienza e abbandono in Dio, certa di non venirne mai delusa.
La denominazione che Madre Clelia volle per le sue sorelle – Apostole del Sacro Cuore di Gesù – racconta molto del loro stile, della loro spiritualità e della loro fedeltà al carisma originale. Le religiose, ancora oggi, sono chiamate a vivere in comunione e collaborazione fraterna testimoniando sobrietà e povertà; a operare nel territorio in cooperazione con la Chiesa locale e nella fedeltà al Magistero del Papa; e rendere viva ed efficace la propria azione pastorale; a curare la formazione dei laici affinché diventino anche loro apostoli dell’evangelizzazione; a coltivare l’espansione missionaria ad gentes con un’attenzione particolare verso la povertà, comprese le nuove forme emergenti di povertà sociale.
Questo il loro esempio, e attraverso loro quello di Madre Clelia, che sa parlare ancora all’uomo di oggi.
Fonte www.vaticannews.va/Roberta Barbi – Città del Vaticano
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