Jihadi John che sgozza gli ostaggi e minaccia il mondo, i boia sulla spiaggia libica che uccidono 21 copti e insanguinano letteralmente le acque del Mediterraneo. Il pilota giordano arso vivo in una gabbia. Sono le barbare immagini che racconteranno la storia del primo anno dello Stato islamico, trasformatosi grazie alla sua propaganda hi-tech nella nuova internazionale del terrore.
Ma a meno di un mese dall’anniversario della sua nascita, l’Isis è costretto a incassare un colpo letale: un raid aereo, annuncia Baghdad, ha centrato un meeting dell’organizzazione vicino Falluja. Tra i «28 terroristi uccisi » c’è anche Abu Samra, considerato il “regista” dell’organizzazione, la mente di quei video del gruppo che hanno inondato di sangue il web e reso macabra celebrità all’organizzazione. Nato in Francia nel 1981 e cresciuto nei pressi di Boston, è finito nella lista dei most wanted dell’Fbi. Secondo il bureau americano, ha lasciato gli Usa nel 2006 per trasferirsi in Siria. Avrebbe una moglie e almeno un figlio.
Non solo: oltre al “regista” è morto sotto le bombe anche un altro americano, «Abu Osama al-Amriky», considerato esperto producer e documentarista, probabilmente il “numero 2” della branca mediatica jihadista.
Il raid è stato «mirato», fa intendere il ministero dell’Interno di Baghdad: i caccia hanno colpito un edificio a Qaim, nel distretto di Falluja, sapendo – grazie al fitto lavoro di intelligence – che all’interno vi erano numerosi leader di secondo livello dell’Isis.
È una sorta di “vendetta” per i militari iracheni: il bombardamento aereo rientra infatti nell’operazione «Mustafa Al Sebhawy», che prende il nome dal soldato iracheno catturato dall’Isis e impiccato a un ponte di Falluja.
Tra le vittime del raid, sempre secondo Baghdad, oltre a Abu Samra e Abu Osama al-Amriky, vanno contati anche «Abu Aicha Al Ansari, esperto di esplosivi, Abu Saif Al Jazrawy, un marocchino, Abu Hussein Al Sulaimani, responsabile della fondazione caritatevole dell’Isis» e soprattutto «Abdullatif Jumaa Al Mohammedy, capo delle operazioni suicide a Falluja».
A questa vittoria, dal sapore soprattutto propagandistico, l’esercito iracheno non può però abbinare alcun risultato sul campo: i jihadisti sono asserragliati nelle proprie roccaforti, Ramadi e Mosul in testa, e la maxioffensiva per liberare le due città segna il passo. Situazione simile in Siria, dove il regime di Bashar al Assad è stato costretto a `digerire´ la caduta di Palmira, e dove l’Isis guadagna terreno, sia contro i filo-Assad sia contro i ribelli.
Non meno critica la situazione in Libia, la “nuova frontiera” jihadista voluta da Abu Bakr al Baghdadi in persona. I suoi seguaci sono riusciti ad allentare la morsa su Sirte, e dopo aver conquistato l’aeroporto avanzano in tutte le direzioni, costringendo i soldati di Misurata alla ritirata. Le milizie di quella che veniva chiamata la «città martire» nel corso della rivoluzione anti-Gheddafi devono fare i conti con i crescenti attentati, anche in casa propria.
Ieri un kamikaze a bordo di un’autobomba ha ucciso 4 persone nella zona occidentale. L’Isis ha rivendicato poco dopo. In questo quadro, il Parlamento libico di Tobruk ha chiesto alla «comunità internazionale, Lega Araba e Consiglio di Sicurezza dell’Onu» di intervenire e decidere «passi concreti urgenti per sostenere la Libia nella guerra contro il terrorismo». Ancora una volta si reclamano le armi, e si chiede la revoca dell’embargo sulle forniture militari.
A cura di Redazione Papaboys fonte: La Stampa
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