Come invertire l’indietro tutta del Mezzogiorno

Cosa c’è che non va in Italia, e soprattutto nel nostro Mezzogiorno, se nel periodo 2001-2013 il tasso di crescita economica cumulato nei 27 paesi dell’Unione Europea è stato del 16,1% e da noi è addirittura regredito dello 0,2%? Davanti a un simile risultato è lecito farsi delle domande, soprattutto dopo aver sentito elencare questi ed altri dati, purtroppo, molto negativi, in occasione della presentazione del “Rapporto Svimez 2014” sull’economia del Mezzogiorno, avvenuta alla Camera dei Deputati mercoledì 30 luglio. Apprendiamo che la Germania, nello stesso periodo 2001-2013 è cresciuta del 15%, la Spagna – anch’essa paese mediterraneo come noi – ha cumulato un + 19%; la Francia un aumento del 14,3%. Lo Svimez parla chiaro e fotografa un’Italia a due velocità, con un Sud sempre più al ribasso, un divario nel Pil pro capite con le regioni del Nord tornato indietro di dieci anni, una caduta dei consumi delle famiglie meridionali del 13%, un corposo calo della spesa pubblica. La recessione ha colpito duro dovunque (-8,5% pil italiano in sei anni), e non ha risparmiato anche diverse aree del Nord industrializzato. Ma nel Mezzogiorno i fenomeni sono tutti più marcati: basta fare riferimento al crollo degli investimenti con cifre da brivido: -53,4% nel periodo 2008-2013 ma al Nord “solo” – 24,6%. Pur nella gravità di entrambe le cifre, c’è un divario evidente, che dice tutta la difficoltà del momento.

L’occasione dei “fondi strutturali” europei. Eppure, anche se il quadro è così a tinte fosche, non siamo alla catastrofe. Lo Svimez sottolinea che se si riuscissero a spendere tutti i fondi strutturali messi a disposizione dall’Unione europea per il Mezzogiorno (13,6 miliardi di euro per il 2014 e 17,4 per il 2015) si avrebbe un impatto potenziale sul Pil dell’1,3% nelle regioni del Sud, mentre nel resto d’Italia l’aumento sarebbe dello 0,4%. Sfruttando queste risorse – che includono fondi strutturali, cofinanziamenti, fondo per lo sviluppo e piano di azione-coesione – si potrebbe innescare la creazione di 34mila posti di lavoro in più al Sud già nel 2014 e oltre 82mila nel 2015, per un totale di 116mila nuovi posti. A livello nazionale i nuovi posti di lavoro creati sarebbero più di 43mila nel 2014 e 100mila nel 2015. Ciò non risolverebbe certo la grave emorragia occupazionale avvenuta dal 2008, quando su scala nazionale sono andati perduti 984mila posti totali (583mila al Sud e 401 mila al Centro-Nord), ma almeno potrebbe avviare una piccola inversione di tendenza. L’emergenza infatti è e rimarrà molto grave a lungo, come attestano i dati che riguardano l’occupazione giovanile (sotto i 35 anni) che vedono soltanto un giovane su quattro lavorare regolarmente al Sud, mentre al Centro-Nord lavorano 48 su 100. L’unico dato consolante – si fa per dire – è quello della “media Ue”, cioè la stessa media calcolata per i 27 paesi europei: ebbene, a livello cumulato su scala comunitaria lavorano solo 55 giovani su 100, cioè 7 in più della media del nostro Centro-Nord. Non c’è da stare allegri anche nel resto dell’Europa, come si vede.

Fermare la “fuga dei cervelli”. All’incontro di presentazione del Rapporto Svimez sono intervenuti anche esponenti politici. Tra di essi, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alla Coesione territoriale, Graziano Del Rio, ha insistito su un aspetto: “Per il Mezzogiorno non esiste un problema di risorse ma di capacità di spesa da attivare. Grazie alla disponibilità di fondi nel biennio 2014-2015 per 21 miliardi di cui 16,5 destinati al Sud, è proprio da qui che può venire un cambiamento a breve delle previsioni di recupero del Pil italiano”. Ha quindi sottolineato che “esiste una precisa strategia governativa per il rilancio dell’area meridionale”, di cui “è prova concreta l’Agenzia per la Coesione che è stata messa a regime in questi giorni”. Rivolgendosi ai parlamentari presenti all’incontro, aderenti all’Intergruppo per il Mezzogiorno, il sottosegretario ha poi affermato che “è giunto il momento di riacquistare reputazione presso le istituzioni europee come capacità di spesa dei fondi strutturali. Solo così saremo capaci di attrarre investitori esteri che pure guardano all’Italia con interesse. Da parte loro c’è disponibilità per investire fondi anche ingenti, ma solo se noi dimostreremo di saper realizzare infrastrutture con una tempistica ragionevole e certa”. Del Rio ha infine esortato i politici e la burocrazia meridionale a “ricostruire una alleanza vera con il popolo” ammonendo che “non è più concepibile che ci vogliano 25 anni per realizzare una opera infrastrutturale”. Dal canto suo il ministro agli Affari regionali Maria Carmela Lanzetta ha invitato gli amministratori locali “ad agire presto” puntando su una accresciuta “qualità amministrativa”, cui il suo ministero intende dare tutto l’apporto tecnico necessario. Il Sud vuole “rinascere” e occorre agire in fretta, prima che si accentui il fenomeno della “fuga dei cervelli”, cioè dei tanti laureati che sono già emigrati al nord Italia o all’estero. Lo Svimez ne ha contati 188mila, con un totale di giovani che se ne sono andati di 494mila. Un esodo da interrompere quanto prima.

Di Luigi Crimella per Agensir

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