Res Publica et Societas

Compito della Chiesa decidere in piena libertà le modalità di ripartenza della vita ecclesiale-comunitaria

In queste settimane e soprattutto in queste ore, l’argomento ecclesiale è la celebrazione dell’Eucaristia con la presenza del popolo di Dio. Dopo l’ultimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, dello scorso 26 aprile, ci si chiede se in Italia è in pericolo la libertà di culto, garantita dalla Costituzione della Repubblica all’articolo 19 e in parallelo, la tutela della salute. Domenica scorsa, subito dopo la conferenza stampa del premier Conte, in una nota dai toni molto duri, la Conferenza episcopale italiana ha dichiarato di “non poter accettare di veder compromesso l’esercizio della libertà di culto”. Purtroppo dobbiamo prendere atto che i vari decreti del Presidente del Consiglio non hanno mostrato un’adeguata sensibilità per la vita di fede di milioni di italiani, mettendo sullo stesso piano la religione, lo sport e lo spettacolo, trascurando la dimensione spirituale che anima anche la vita sociale.

È bene ricordare che in Italia i luoghi di culto non sono chiusi, tranne qualche raro caso in alcune diocesi, infatti, la decisione di tenere aperte o no le chiese spetta ai singoli vescovi ed è bene ricordare che sono sospese le celebrazioni in presenza di una pluralità di fedeli, questo vale non solo per la Chiesa cattolica, ma per diverse confessioni cristiane, per gli ebrei o gli islamici. Dunque l’apertura e l’accesso ai luoghi di culto sono consentiti purché si evitino assembramenti e si assicuri la distanza tra i presenti.

In questo momento di grande sofferenza internazionale bisogna prima di tutto ribadire con forza che la Chiesa cattolica ha a cuore il bene e la salute dei fedeli e di questo ne sono garanti, prima di tutto il Santo Padre e con lui i vescovi. Proprio Papa Francesco, nella consueta celebrazione mattutina di ieri, ha pregato per “la prudenza e obbedienza alle disposizioni affinchè la pandemia non ritorni” e prima ancora, il 13 marzo, ha ribadito che le “misure drastiche non sempre sono buone” esortando i pastori della Chiesa a fare “discernimento pastorale affinché provvedano misure che non lascino da solo il santo popolo fedele di Dio. Che il popolo di Dio si senta accompagnato dai pastori e dal conforto della Parola di Dio, dei sacramenti e della preghiera”. Le parole del Papa sono chiare ed è esclusa ogni interpretazione arbitraria.

Ma perché è così importante che i battezzati si ritrovino insieme per celebrare la Messa? Non è lo stesso pregare a casa? Ecco, sono alcune delle domande che sentiamo riecheggiare in maniera continua in questi giorni. Ma dobbiamo sapere che la natura propria della Chiesa è quella dell’incontro, diversamente non è pienamente Chiesa. Infatti, «Chiesa» significa «convocazione»: il popolo dei battezzati è convocato per l’ascolto della Parola che si fa Eucaristia, nutrimento necessario per essere Chiesa, per fare la Chiesa, il Corpo vivente di Cristo. Già i primi cristiani erano consapevoli dell’importanza di ritrovarsi il primo giorno della settimana, quello che i romani chiamavano il giorno del sole, ovvero il giorno della risurrezione di Gesù. Non può venir meno, per nessun motivo, il non radunarsi comunitariamente per nutrirsi dell’Eucaristia per affrontare le fatiche e le speranze della nostra esistenza credente e così sperimentare la gioia dell’incontro con Dio e con la comunità nella Pasqua settimanale. Di questo ne erano convinti anche i quarantanove cristiani di Abitene, una località nell’attuale Tunisia. Siamo nel 304 ed era imperatore Diocleziano il quale proibì di professare la propria fede in Cristo, quindi di ritrovarsi per celebrare l’Eucaristia e di costruire luoghi di preghiera. Sfidarono i divieti dell’imperatore e per tutta risposta, con una frase convinta affermarono: “Sine dominico non possumus

“, cioè, senza riunirci la Domenica in assemblea per celebrare l’Eucaristia non possiamo vivere. Seguirono atroci torture e furono uccisi. Testimoni della fede e martiri in difesa dell’Eucaristia.

La Chiesa sta vivendo con coraggio, sofferenza, responsabilità e senso del dovere questo periodo di emergenza, un momento straordinario, ovvero non ordinario che deve necessariamente trovare un punto di ripartenza accogliendo certamente il suggerimento delle autorità civili, per le quali la Chiesa prega ed è in dialogo, ma è compito della Chiesa decidere in piena libertà, tempi e modalità di questa ripartenza, senza subire scelte arbitrarie da parte di nessuno. Il provvisorio non può per nessun motivo diventare ordinario.

Chiesa vuota

Stiamo sperimentando la creatività pastorale di tanti sacerdoti, di tutte le età, anche quelli anziani che non hanno dimestichezza con i mezzi di comunicazione sociale, che stanno facendo di tutto per far sentire il popolo di Dio “comunità” servendosi dei social network, radio e tv. Ma come ci ricorda ancora Papa Francesco, “questa è la Chiesa in emergenza. L’ideale della Chiesa è con il popolo e con i sacramenti, con la familiarità del ritrovarsi comunitariamente. Una familiarità senza comunità, una familiarità senza il Pane, una familiarità senza la Chiesa, senza il popolo, senza i sacramenti è pericolosa. Può diventare una familiarità gnostica, una familiarità staccata dal popolo di Dio. La familiarità degli apostoli con il Signore era sempre comunitaria, a tavola, segno della comunità”.

Allora una ripartenza comunitaria della vita ecclesiale deve necessariamente avvenire con la consapevolezza liturgica che l’assemblea che si raduna non può prendere parte alla celebrazione in maniera distaccata, come se andasse a vedere un film o una commedia, ma con la partecipazione attiva e “comunionale” in tutte le sue parti e forme, proprio perché la celebrazione liturgica (che non è cerimonia!) è azione attiva, di tutti: da chi presiede e da chi interagisce con il presidente della celebrazione ed esercita così il proprio sacerdozio battesimale: cantando, proclamando la Parola, servendo all’altare, ecc.

Questo tempo di coronavirus che stiamo vivendo ci faccia sperimentare il desiderio di una vita vissuta non con superficialità ma in pienezza senza dare tutto per scontato. Il digiuno eucaristico prolungato aumenti in noi il desiderio della Parola che prepara l’Eucaristia, facendoci riscoprire il senso di comunità, l’appartenenza alla grande famiglia di Dio che è la Chiesa, la quale oggi si incontra familiarmente – in senso stretto – nelle case/chiese domestiche, preludio già di quell’incontro di festa che non ha limiti di spazio e relazione e che sapremo vivere con diligente sicurezza da buoni cristiani e onesti cittadini, come ci ricorda don Bosco.

Riflessione di Daniele Maria

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