Il chirografo di Papa Francesco su Twitter e Instagram mi conferma di qualcosa che già so: niente di più sbagliato che definire “realtà virtuale” i social. Non sono realtà virtuale: sono semplicemente “realtà”. Sic et simpliciter. Su Facebook, Twitter, Instagram o altro non si sente l’odore delle pecore, è vero, ma il resto della pecora c’è tutto. E il Papa lo sa e lo vive.
Il Papa vuole che un pastore abbia l’odore delle pecore addosso perché un pastore è così: sa di pecora e sta dove le pecore stanno.
Non si può fare il pastore con un drone, a distanza, ci vuole la presenza.
“Stai su Facebook?”, “Sei su Instagram?”: queste sono le parole che usiamo quando ci chiediamo se abbiamo aperto o no i nostri profili sui social: stai? Stiamo? La nostra presenza in un social o è presenza reale o non è.
E anche se hai una pagina Facebook, non a caso si dice che la devi curare per farla crescere. Curare e crescere sono verbi che si usano per le persone. Ed infatti sono le persone che stanno dietro ad una pagina, ad un profilo, che comunicano, che leggono, che scrivono, che si fanno conoscere. Perché, se è vero che non c’è l’odore sui social, tutto il resto c’è. Lo so, l’ho già scritto, ma è importante ripeterlo.
Per chi si preoccupa che i giovani non abbiano più amicizie per stare dietro uno schermo, io dico che il problema non è lo schermo ma la mancanza di amicizia. Se hai degli amici, un social è solo un modo e un mondo con cui e su cui vivere quelle relazioni.
Se non hai degli amici, il problema è quello: non hai degli amici; e il problema non è il mezzo attraverso cui non hai degli amici veri.
Anche qui, in questo continente digitale, il Papa sembra aver trovato la strada da percorrere, il ponte da costruire. Ed è quello di esserci personalmente.
C’è forse un altro modo di essere presenti se non essendoci in prima persona? Può uno staff di segretari e consulenti di immagine costruire un ponte? No, non può.
Da un tweet, da un post, usciamo per quello che siamo. Pubblichiamo noi stessi sempre.
Anche se nascosti dietro un nick, chi siamo si vede, si sente, si svela.
Il Papa si rivolge “a te …della grande comunità digitale”. I ponti si fanno mattone dopo mattone. Le strade si percorrono passo dopo passo: “A te”.
Il papa non parla ai trenta milioni di follower o all’utente digitale, parla a te.
Per lui internet non è un mostro, perché la realtà non è un mostro, il mondo non è un mostro, l’umanità non è un mostro, ma è una comunità. E, se è comunità, è comune a tutti, ne fai parte, è anche tua.
L’approccio è totalmente diverso rispetto alla barricata del “si stava meglio prima quando ci si parlava guardandosi negli occhi”. L’approccio è un ponte, è quello del “a te…della grande comunità digitale…tu sarai il dono prezioso nella mia preghiera al Padre”.
I social appiattiscono, livellano, accusa chi li teme
Non so, diciamo che sì, qualche precauzione bisogna averla. Anche quando guidi puoi essere un pericolo. Sui social ci sono delle informazioni che potrebbero essere state scritte da chiunque.
Ma se il parlare, nei social è vero dialogo. Alla pari. Sui social cattedre, pedane e pulpiti, durano poco. Gli occhi negli occhi, lo sguardo alla stessa altezza, sono la normalità sui social.
Non importa che targa hai sulla porta dello studio o i titoli sul biglietto da visita, se parli su un social si legge solo quello che scrivi e come lo scrivi, cioè contano solo le parole, i pensieri. Insomma conta chi sei da solo, senza titoli e uffici filtro. Tu e il tuo interlocutore. Non c’è anticamera sui social. Un Invio e sei on line, in piazza.
Il Papa mette un suo scritto, a mano: questo è un chirografo. La sua grafia è lì a farsi esaminare come il suo pensiero, come la sua immagine.
Una foto e un pensiero, 140 caratteri. A seconda del social, secondo le regole del social.
È lì a parlare e ad ascoltare, a chiedere preghiere per sé e a pregare per gli altri. Il solito Papa. Il solo Papa Francesco.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da Il Faro di Roma