Il Primo maggio nasce nel 1867, è una festa figlia del movimento operaio e socialista e in Italia arriva nel 1892 insieme alla giornata lavorativa di 8 ore. Siamo nel 2016 e ieri era il primo maggio. Siamo lontani dall’aver risolto tutti i problemi dei lavoratori – primo fra tutti la disoccupazione – e pertanto ben venga la giornata del Primo maggio con annesso concertone. Ben venga la musica se serve a festeggiare il lavoro di chi ce l’ha. Ben vengano anche i momenti di confronto, di denuncia, di proposta seria, per chi il lavoro lo ha perso o nel mondo del lavoro non riesce ad entrare. Ma c’è un “ma” che vorrei condividere. Cosa c’entra con questa festa e con questa occasione di riflessione comune, tutto ciò che festa non è e che, anzi, invece che far riflettere fa urlare, menare o parla d’altro?
A volte sembra come nei licei dove la giornata di autogestione o di assemblea degli studenti è, nel migliore dei casi, l’occasione per un giorno di festa in più. E, nel peggiore, diventa un momento per lasciarsi andare ad atti vandalici. Magari verso la stessa scuola che ha aperto le porte per uno spazio di riflessione e di libera espressione.
Il Primo Maggio dovrebbe essere, essenzialmente, un momento per ricordare – come ha detto molte volte il Papa – che “il lavoro non è un dono gentilmente concesso a pochi raccomandati ma è un diritto per tutti”. E che quando non c’è lavoro “a rischiare è la dignità, perché la mancanza di lavoro non solo non ti permette di portare il pane a casa, ma non ti fa sentire degno di guadagnarti la vita”.
Cosa c’entrano a Torino i manganelli e le cariche della polizia? Cosa c’entra, a Milano, lo “spogliarello dei diritti” davanti a Zara, gli spintoni e gli insulti? Più ancora, cosa c’entra a Roma la dedica al povero Regeni del concerto a Piazza San Giovanni? Perché mettere assieme, sovrapporre, due cose importantissime come i diritti umani violati, la tortura a un povero ragazzo, la non trasparenza di un paese importante come l’Egitto con il lavoro, la disoccupazione e le pensioni? È come se un parroco invitasse la gente alla Messa perché “ci verrà anche un personaggio importante”: allora prete, se fai così, vuol dire che tu alla Messa in quanto tale non ci credi, dubiti che qualcuno possa venire “solo” per l’ Eucarestia. Ecco, la strumentalizzazione di Regeni fa pensare che agli organizzatori il senso puro e semplice del Primo Maggio, non bastasse, sembrasse poco. Che ai genitori di Giulio interessi non perdere occasione per mandare il loro messaggio è largamente comprensibile: ma davvero viene da chiedersi se Rai3, Radio2 o i Sindacati siano stati mossi dalle stesse intenzioni o non piuttosto dal desiderio di visibilità. Solo che è un autogol perché se ci vai per Regeni non ci vai per il lavoro.
Fare in modo che una festa per il lavoro sia dignitosa nei propri contenuti tremendamente importanti, senza rivendicazioni politiche, senza spranghe e martelli e fumogeni, è un dovere civile importante. Per di più, dal momento che gran parte dei discorsi sentiti dai palchi o dai microfoni dei giornalisti, riguardavano i giovani e il loro futuro – sono loro i più colpiti dalla piaga della disoccupazione – è doveroso che ci sia la maturità di tutti di mantenere toni e contenuti che non richiamino una giornata di scuola persa o i danni a cose e persone perché mancano i professori a controllare.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da IlSussidiario.net