Dopo i ripetuti moniti alla popolazione di Beit Lahya, all’estremità nord della Striscia, affinché evacuasse le proprie abitazioni, Israele ha iniziato a dirigere un fuoco di artiglieria su quell’area, utilizzata secondo l’esercito come zona di lancio di razzi a lunga gittata. Nelle ore precedenti l’attacco, l’esercito israeliano ha lanciato nella zona di Beit Lahia dei volantini con l’avviso agli abitanti di abbandonare prima di mezzogiorno le case. Questo il contenuto dei volantini: “chiunque trascuri le istruzioni dell’esercito metterà la vita di se stesso e della sua famiglia a rischio. Attenzione”. Un razzo (o un colpo di mortaio) sparato dal territorio siriano e’ esploso stasera nelle alture del Golan, a breve distanza da un avamposto militare israeliano. Non si ha notizia di vittime. Ancora non e’ noto se l’episodio sia un attacco intenzionale a Israele, oppure se sia legato a combattimenti in corso in Siria fra l’esercito nazionale e forze ribelli islamici presenti nell’area. Ieri era stato aperto il fuoco da nord in direzione d’Israele – con tre razzi – anche dal territorio libanese.
Abu Mazen chiede per Palestina “la protezione Onu”. Il presidente palestinese Abu Mazen ha inviato una lettera all’inviato Onu per il Medio Oriente, indirizzata al segretario generale Ban Ki Moon, per chiedere che “lo Stato di Palestina sia messo sotto il sistema internazionale di protezione delle Nazioni Unite”. Lo ha reso noto la dirigente dell’Olp Hanan Ashrawi. “Il conflitto israelo-palestinese ha già devastato troppe generazioni. Serve una tregua immediata”, ha detto il ministro degli Esteri Federica Mogherini alla vigilia della missione che la porterà in Medio Oriente. La titolare della Farnesina ha avuto colloqui telefonici con i colleghi europei. Le sirene d’allarme risuonano a Tel Aviv. Si sono sentite due forti esplosioni, che probabilmente riguardano due i razzi intercettati sull’area metropolitana di Tel Aviv. Allarmi si sono sentiti nel Nord di Israele, anche in altre città: a Naharya (al confine col Libano); a Haifa e a Hadera. La televisione di Hamas sostiene che il suo braccio armato ha sparato simultaneamente da Gaza razzi M 75 verso Tel Aviv e un razzo R 160 in direzione di Haifa. In Israele non si ha per ora notizia di vittime. A Naharya, al confine col Libano, le sirene sono entrate in funzione per un falso allarme. Circa il 36 per cento dei razzi da Gaza verso Israele e’ stato lanciato dal nord della Striscia. Lo indicano fonti militari israeliane secondo cui il 30% dei razzi a lunga gittata e’ stato tirato dalla stessa area e in particolare il 10% dalla città di Beit Lahia. Proprio sul posto l’esercito stamattina ha sparso volantini per avvertire la gente di allontanarsi immediatamente in previsione di bombardamenti. Secondo quanto constatato dall’ANSA sul posto Beit Lahya ha ora un aspetto spettrale.
Sono i bambini a pagare il prezzo più alto a Gaza. Dei circa 130 morti, registrati in cinque giorni di raid, oltre una ventina sono minorenni, quasi un quarto del totale. E il numero dei bimbi uccisi continua ad aumentare. Tre bambine disabili hanno perso la vita oggi dopo che l’aviazione israeliana ha colpito in mattinata un orfanotrofio a Beit Lahya (a nord di Gaza), stando all’agenzia di stampa Quds Press. Una notizia smentita quest’ultima dal portavoce dell’ambasciata israeliana a Roma, Amit Zaruk. Qualche ora più tardi un’altra bambina è deceduta dopo che un razzo sparato da un drone israeliano ha colpito un capannello di persone nel rione Sheikh Radwan di Gaza. Di ora in ora cresce l’urgenza di intervento umanitario, mentre continua lo sforzo dei partner di Oxfam al lavoro nella Striscia di Gaza per rispondere all’aumento crescente di violenza nella regione. L’associazione umanitaria ha riferito che sono almeno 100mila le persone senza acqua potabile, mentre l’Onu ha riportato che almeno 32 scuole sono state colpite da bombardamenti, dozzine di case sono state distrutte e più di 2000 danneggiate. Secondo la responsabile dell’ufficio Mediterraneo di Oxfam Italia, Umiliana Grifoni, le infrastrutture basilari che garantiscono acqua e servizi sanitari sono state distrutte o gravemente danneggiate dai bombardamenti israeliani.
“Si sta lottando perché i servizi facciano fronte alle necessità, ma la mancanza di sicurezza sta rendendo difficile portare gli aiuti”. Un ospedale supportato da Oxfam, che ha finora assistito più di 50 feriti ha reso noto che nei prossimi giorni finirà il carburante indispensabile per compiere operazioni vitali in aiuto dei civili feriti. Il direttore medico dell’ospedale, Ahmed Manna, ha aggiunto che “circa il 40% dei feriti curati sono bambini e molte altre sono donne incinte”. La stessa fonte ha aggiunto che lo staff medico sta lavorando con turni di 24 ore per sopperire alle necessità, che è pericoloso tornare a casa e che c’è inoltre il rischio che “se il carburante non dovesse essere disponibile in pochi giorni, l’ospedale dovrà chiudere molti dei suoi servizi a 360mila persone a Gaza”. a cura di Francis Marrash